Dopo l’apertura della
inchiesta che ha coinvolto il Presidente della Regione Liguria operatori portuali ex dirigenti o commissari della
Autorità portuale Genovese, leggo in questi giorni commenti dei giornalisti ed esperti, presunti o reali, che usano toni
scandalizzati e preoccupati per quello che sta emergendo sulla gestione del
porto di Genova.
La responsabilità penale è personale e verrà vagliata dalla magistratura ma nessuno di questi signori coglie uno dei nodi centrali che sta dietro la vicenda giudiziaria.
Il nodo
riguarda il modo in cui il legislatore ha, in questi anni, disciplinato la
gestione delle aree portuale e il loro sviluppo, norme dettate dalle lobby portuale.
D’altronde giornalisti che svolgano inchieste preventive autonome e indipendenti ormai
si contano sulle dita di una mano almeno in Liguria. I politici invece si
limitano a seconda della parte dove sono collocati a fare il tifo contro l’inchiesta
oppure a favore della stessa. D'altronde una classe politica di posteggiatori, che ha
sempre subito in questi anni le decisioni delle lobby portuali e non solo queste, non poteva e non può andare oltre il tifo.
In questi anni, complice la stragrande maggioranza della classe politica di maggioranza o di opposizione, grazie alle normative semplificatorie le aree portuali e retroportuali e i rapporti porti città sono state trasformate/i in terra di conquista dei terminalisti (di conseguenza di scambio di favori tra operatori, burocrati e politici vari).
Il tutto come se invece che aree demaniali statali o addirittura comunali fossero parte di uno stato indipendente controllato da una burocrazia pubblica e operatori portuali fuori da ogni circuito democratico. Non casualmente quindi è stata eliminato il potere di approvazione dei piani regolatori di sistema portuale da parte delle Assemblee elettive delle Regioni, mentre gli amministratori locali e regionali sono diventati poco di più di piazzisti immobilari.
Vediamole queste pseudo riforme (io le definirei colpi di mano) sui porti italiani…