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domenica 13 ottobre 2024

Autonomia Differenziata: come funziona e le criticità principali

Con la legge 86/2024 QUI (di seguito LA LEGGE) si è data attuazione a quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione (QUI) sul c.d. regionalismo differenziato e/o autonomia differenziata. 

Il post vuola analizzare i contenuti principali della LEGGE come le sue criticità utilizzando sia i ricorsi che varie Regioni hanno depositato alla Corte Costituzionale ma anche documenti ufficiali di Banca d'Italia e Commissione UE nonchè studi autorevoli di centri specializzati sulla gestione della spesa pubblica.


PREMESSA LA SINTESI DEL POST

Con le note che seguono si vogliono analizzare la disciplina:

1. Dei contenuti dell’atto di iniziativa che ogni Regione potrà presentare per ottenere l’esercizio di ulteriori funzioni nelle materie indicate dall’articolo 116 della Costituzione;

2. La procedura di approvazione dell’atto di iniziativa e successivamente della Intesa da raggiungere tra la Regione promotrice e lo Stato;

3. la durata e le modalità di modifica cessazione efficacia della intesa;

4. La necessità prima di avviare il trasferimento delle funzioni individuate nell’atto di intesa della individuazione dei LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI (LEP) CONCERNENTI I DIRITTI CIVILI E SOCIALI che dovranno essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

5. La procedura che porta alla approvazione di individuazione dei LEP;

6. Il monitoraggio sul rispetto delle erogazioni dei LEP da parte delle singole Regioni;

7. le modalità di aggiornamento dei LEP.

 

Per ognuna di queste parti si riportano le principali criticità del testo della LEGGE che emergono dai ricorsi che ben 4 Regioni hanno sollevato contro la LEGGE, Si tratta delle Regioni  governate dal centro sinistra che però quando approvò la introduzione nella Costituzione della autonomia differenziata regionale avrebbe dovuto riflettere più attentamente sulle possibili conseguenze di quella riforma senza privilegiare, come spesso accade nella politica italiana la logica di schieramento elettorale (vedi alla luce togliere l’argomento federalismo alla Lega Nord).

Per una SINTESI PER TEMI dei ricorsi vedi QUI

Per il testo COMPLETO dei ricorsi delle Regioni utilizzati nel testo che segue vedi

Puglia QUI

Toscana QUI

Campania QUI

 

Si riportano anche in sintesi le posizioni contenute:

1. nella Memoria della Banca d’Italia in sede di audizione del disegno di legge che ha portato alla LEGGE ora in esame;

2. della Commissione UE in suo Report;

3. di vari studi di esperti in materia di spesa pubblica.



 

COSA DICE, IN SINTESI, LARTICOLO 116 DELLA COSTITUZIONE CHE HA INTRODOTTO LA AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Secondo l'articolo 116 della Costituzione comma 2  (riformato dalla legge 3/2001 QUI) sarà possibile che ciascuna Regione negozi con lo Stato forme particolari di autonomia concernenti:

1. le materie di legislazione concorrente di cui al comma 3 dell'articolo 117 della Costituzione (QUI);

2. le seguenti materie di legislazione esclusiva statale: organizzazione della giustizia di pace (lettera l comma 2 articolo 117); norme generali di istruzione (lettera n comma 2 articolo 117); tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera s comma 2 dell’articolo 117).

Il comma 2 dell’articolo 116 individua la procedura per ottenere i suddetti ulteriori ambiti di autonomia per le singole Regioni. In particolare, si prevede che la ulteriore autonomia venga riconosciuta con legge statale su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119 (tutela delle autonomie locali QUI). La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

 

 


COSA SUCCEDE DOPO LA APPROVAZIONE DELLA AUTONOMIA DIFFERENZIATA PER OGNI SINGOLA REGIONE

Una volta approvata la procedura che vedremo per la autonomia differenziata ex articolo 116 la potestà di legiferare alle Regioni nelle materie concorrenti non dovrà più sottostare al principio ex articolo 117 della Costituzione: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. 

In realtà questa è una interpretazione che è molto presente come vedremo nella LEGGE ma occorre considerare la lettera dell’articolo 116 della Costituzione che relativamente alle materie interessate dalla autonomia differenziata afferma di “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Questa dizione lascia presagire che anche nelle materie trasferite debbano permane compiti statali. Senza dimenticare il riferimento, da parte sempre del comma 3 articolo 116, all’articolo 119 della Costituzione secondo il quale: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.”

Ad esempio, è auspicabile che in materia come energia ma anche istruzione si mantengano poteri anche statali una volta votata la legge attuativa della Intesa come previsto dalla LEGGE che andiamo a descrivere. Stesso discorso vale per materie come Ambiente e Paesaggio dove potrebbero pesare gli indirizzi della Corte Costituzionale sulla unitarietà del bene ambiente e del paesaggio integrato con detto bene.

Peccato che, come vedremo, la LEGGE lascia spazi di interpretazione applicativa in contrasto con quanto sopra ripreso dai due articoli 116 e 119 della Costituzione. Criticità sottolineate dai ricorsi delle Regioni come vedremo.

 


 

COME FUNZIONA LA PROCEDURA DI APPROVAZIONE DELLA INTESA PROPEDEUTICA ALLA APPROVAZIONE DELLA LEGGE STATALE PER RICONOSCERE LA AUTONOMIA DIFFERENZATA ALLE SINGOLE REGIONI

 

1. Atto di iniziativa della Regione che può quindi consistere in una deliberazione di Giunta o al massimo di Assemblea legislativa regionale secondo gli statuti e sentiti gli enti locali.

2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei Ministri competenti per materia, può limitare l'oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell'atto di iniziativa. “può” scrive la LEGGE, quindi potrebbe anche non limitare mentre come abbiamo visto l’articolo 116 fa riferimento ad ulteriori forme condizioni da cui risulta con chiarezza un limite preventivo alla estensione del trasferimento delle competenze nelle materie, un limite non una mera discrezionalità del Governo nazionale.

3. L'atto di iniziativa della Regione è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie che deve acquisire entro sessanta giorni la valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell'economia e delle finanze, anche ai fini dell'individuazione delle necessarie risorse finanziarie da assegnare. Norma questa ridicolizzata dal comma 1 articolo 9 della LEGGE che recita: “Dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”. Ma su questa criticità si tornerà in seguito.

4. Decorso il termine dei 60 giorni per la valutazione finanziaria, comprensivo il quadro finanziario della Regione, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie avvia comunque il negoziato con la Regione che, con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni LEP), svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia.

5. Lo schema di intesa con la relazione tecnica sulla copertura finanziaria in versione definitiva è approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie.

6. Entro 60 giorni dalla trasmissione la Conferenza stato regioni città esprime un parere sullo schema di intesa. Lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle Camere per l'esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo entro 90 giorni dalla trasmissione.

7. Il Presidente del Consiglio può non uniformarsi all’atto di indirizzo delle Camere inviando apposita relazione alle stesse dopodiché predispone lo schema di intesa definitivo.

8. Lo schema di intesa definitivo é trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le forme stabilite nell'ambito della propria autonomia statutaria, assicurando la consultazione degli enti locali.

9. Successivamente lo schema di intesa è deliberato dal Consiglio dei Ministri.

10. Con lo schema di intesa definitivo, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, delibera un disegno di legge di approvazione dell'intesa, che vi è allegata.

11. Il disegno di legge di cui sopra, cui è allegata l'intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la deliberazione, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Come sottolineato dai ricorsi delle Regioni già citati il terzo comma dell’articolo 116 non usa il termine deliberazione ma approvazione a maggioranza assoluta della legge da parte delle Camere violando la procedura di cui all’articolo 72 (QUI) della Costituzione, trasformando la “deliberazione” del Parlamento in una sorta di ratifica.

12. La LEGGE fissa una durata della Intesa (non oltre 10 anni) ma in realtà questa può essere prorogata senza disdetta salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno dodici mesi prima della scadenza.

 


 

I LEP: LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI CONCERNENTI I DIRITTI CIVILI E SOCIALI

Nella seconda parte comma 2 articolo1 della LEGGE si afferma che l’attribuzione di ulteriori funzioni alle Regioni è consentita non solo dopo la determinazione dei: “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” ex lettera m) secondo comma articolo 117 della Costituzione. Tali LEP indicano la soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale.

Per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP), il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della LEGGE (vedi da del 11 luglio 2024), uno o più decreti legislativi.

La LEGGE fa riferimento ai fini della determinazione dei LEP ai criteri di cui ai commi da 791 a 791 dell’articolo 1 della legge 197/2022 (QUI). Secondo i ricorsi delle Regioni le richiamate disposizioni della legge 197/2022 non contengono principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega legislativa, che finisce, in sostanza, per essere «in bianco», in patente violazione dell’art. 76 (QUI) della Costituzione.

 



IL LIMITE DI AVERE PREVISTO SOLO UN PARERE DELLA CONFERENZA UNIFICATA STATO REGIONI CITTÀ SUI DLGS PER LA DETERMINAZIONE DEI LEP

Il secondo comma dell’art. 3 della LEGGE prevede che i decreti legislativi di cui al primo comma (per l’individuazione dei LEP) siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della Conferenza unificata. I ricorsi delle Regioni contestano che la Conferenza unificata stato regioni si pronunci solo con un parere. Secondo i ricorsi l’intesa è quindi necessaria in tutti quei casi in cui vi sia un concorso di competenze inestricabilmente connesse tra Stato e regioni, giacché essa, a differenza del parere, è la sola ad essere «contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (Corte costituzionale, 13 dicembre 2017, n. 261(QUI).

Le norme testé indicate contrastano con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione. Come affermato dalla Corte costituzionale sentenza n. 251 del 2016 (QUI): “Solo l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgimento di genuine trattative, garantisce un reale coinvolgimento”.

 



VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEALE COLLABORAZIONE NEL MONITORAGGIO PER LA VERIFICA DELLE EFFETTIVA EROGAZIONE DEI LEP

Secondo il ricorso della Regione Campania in base alla legge impugnata, tutte le Regioni potrebbero richiedere l’attribuzione di competenze legislative, senza che tale richiesta debba fondarsi su peculiarità del relativo territorio; ne deriva che sarebbe possibile richiedere ulteriori competenze in tutte le materie di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione. Così disponendo, secondo il ricorso, la LEGGE impugnata apre la strada alla potenziale sparizione – o comunque al significativo ridimensionamento – della potestà legislativa concorrente e, conseguentemente, a uno snaturamento del rapporto tra Stato e Regioni, di cui la potestà legislativa concorrente costituisce uno dei capisaldi. Tutto si traduce in un illegittimo intervento sul sistema di riparto di competenze previsto dalla Costituzione, che non può certo essere posto in essere sulla base di una mera legge ordinaria, pena la violazione dell’art. 138 della Costituzione (QUI).

Il ricorso dela Campania cita la giurisprudenza costituzionale, dove si afferma che in materie di competenza legislativa concorrente lo Stato deve fissare i principi fondamentali, e così «prescrivere criteri e obiettivi, mentre all’altra [alla legge regionale, ndr] spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi» (Corte costituzionale, 14 novembre 2013, n. 272 QUI). Il legislatore statale ha dunque il compito di definire obiettivi necessariamente validi per l’intero territorio nazionale, mentre a quello regionale è rimessa la scelta del quomodo relativamente alle modalità di attuazione. In questo quadro, il trasferimento di interi blocchi di materie oggetto di competenza concorrente, in base all’art. 117, comma 3, della Costituzione, impedisce l’operatività della potestà legislativa statale e, perciò, rimette a ciascuna Regione la possibilità di definire obiettivi anche in distonia rispetto alle altre.

 

Il principio di leale collaborazione è altresì violato dall’art. 3, comma 5, della LEGGE, che attiene alla fase di monitoraggio dell’effettiva garanzia dell’erogazione dei LEP nelle regioni che hanno sottoscritto le intese. In tal caso, infatti, il monitoraggio è effettuato dalla Commissione paritetica di cui all’art. 5 della medesima LEGGE, e al comma 5 dell’art. 3. Secondo i ricorsi delle Regioni si prevede che la Conferenza unificata, sulla base degli esiti di tale monitoraggio, «adotta, sentito il Presidente della regione interessata, le necessarie raccomandazioni alle regioni interessate al fine di superare le criticità riscontrate». Nella fase di monitoraggio dell’effettiva garanzia dell’erogazione dei LEP, dunque la Conferenza Stato-regioni non è in alcun modo contemplata, con conseguente violazione degli articoli 5 (QUI) e 120 (QUI)della Costituzione per contrasto con il principio di leale collaborazione

 

 

 

IL RUOLO LIMITATO DEL PARLAMENTO NELLA APPROVAZIONE E AGGIORNAMENTO DEI DLGS SULLA DETERMINAZIONE DEI LEP

Sugli schemi di Dlgs dei LEP si pronuncia il Parlamento ma se la Presidenza del Consiglio non condivide la posizione delle Commissione Parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione.

Le Commissioni competenti per materia e per i profili finanziari possono esprimersi sulle osservazioni del Governo entro il termine di venti giorni dall'assegnazione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque emanato.

L’art. 3, settimo comma, della LEGGE prevede che i LEP, individuati con decreto legislativo ai sensi del precedente primo comma, «possono essere aggiornati periodicamente [...] con Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri». Sul punto occorre rilevare

Secondo i ricorsi delle Regioni la Corte costituzionale, sin dai primi interventi sul Titolo V della parte seconda della Costituzione, ha avuto modo di precisare che quella di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) , è «una competenza del legislatore idonea a investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assi curare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002 QUI). Da questo si ricava la incostituzionalità della LEGGE nel momento in cui prevede che l’aggiornamento dei LEP avvenga con DPCM quale fonte secondarie emessa da organo monocratico.

 

 

 

MATERIE INTERESSATE DAI LEP (COMMA 3 ARTICOLO 3 della LEGGE)

Si tratta di tutte le materie di legislazione concorrente ex comma 3 articolo 117 della Costituzione e quelle del comma 3 articolo 116 (istruzione, ambiente- beni culturali, giudice di pace).

In particolare, questo è l’elenco completo previsto dal comma 3 articolo 3 della LEGGE:

a) norme generali sull'istruzione;

b) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;

c) tutela e sicurezza del lavoro;

d) istruzione;

e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;

f) tutela della salute;

g) alimentazione;

h) ordinamento sportivo;

i) governo del territorio;

l) porti e aeroporti civili;

m) grandi reti di trasporto e di navigazione;

n) ordinamento della comunicazione;

o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;

p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.

 

Non sono comprese nell’elenco di materie di legislazione concorrente ed esclusiva trasferibili per le quali occorrono i LEP:

1. rapporti internazionali e con l’Unione europea;

2. commercio con l’estero;

3. professioni;

4. protezione civile;

5. previdenza complementare e integrativa;

6. coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

7. casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;

8. enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Per queste materie alcune Regioni del Nord avanzerebbero la richiesta di avviare la procedura di trasferimento senza la definizione dei LEP.

 

Come ricordano i ricorsi delle Regioni, nella sentenza n. 282 del 2002 (QUI) la  Corte Costituzionale ha esplicitamente chiarito che, «quanto […] ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, non si tratta di una “materia” in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle».

Ma v’è ancora di più. L’art. 2, comma 1, della LEGGE, nel disciplinare il procedimento di approvazione delle intese fra Stato e regione, stabilisce che il negoziato con la regione richiedente «con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 3, è svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia». Da ciò sembra doversi inferire che le nove materie escluse dalla determinazione dei LEP (perché illegittimamente reputate non «LEP- condizionate») possono essere devolute alle regioni richiedenti non solo immediatamente ma persino «in blocco» e senza neppure un negoziato relativo alla singola materia. Anche tale previsione, risultano, per il ricorso delle Regioni, violati gli articoli 2, 3, 5, 81, 97, 116, comma 3, 117, comma 2, lettera m) , 119, commi 3, 4 e 5, 120 della Costituzione.

 


 

LA DELEGA IN BIANCO AL GOVERNO NEL PREDISPORRE I DECRETI LEGISLATIVI PER INDIVIDUARE I LEP

Il ricorso della Regione Campania, nel riprendere quelli di Puglia e Toscana, afferma che l’art. 3 della LEGGE contrasta patentemente con le disposizioni in rubrica, poiché non individua i principi e i criteri direttivi che dovrebbero guidare l’attività di determinazione dei LEP. Più precisamente, l’art. 3 della LEGGE delega il Governo a adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, commi da 791 a 801 -bis , della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (QUI). Senonché, queste ultime disposizioni si limitano a delineare la procedura per l’emanazione di d.P.C.M., presentati da una cabina di regia a tale scopo istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma non contengono certo principi e criteri direttivi, idonei a indirizzare l’esercizio della funzione legislativa. Si tratta,secondo il ricorso, di una vera e propria delega «in bianco», in contrasto – come sancito da costante giurisprudenza costituzionale - con l’art. 76 della Costituzione (QUI).

 


 

LA CARENZA DI ARMONIA DELLA DISTRIBUZIONE DELLE MATERIE TRA LE REGIONI SECONDO I RICORSI DELLE REGIONI

Secondo tutti i ricorsi delle Regioni: la LEGGE non contiene alcuna norma che garantisca un minimo di armonia tra la distribuzione delle materie alle Regioni rischiando una Repubblica a macchia di leopardo che non favorisce il rispetto di principi costituzionali come quello della libertà di impresa ma anche della tutela dell’ambiente come bene unitario per non parlare di altri settori come la sanità e i trasporti nonché l’energia. È vero che l’ articolo 2 della LEGGE afferma che “Al fine di tutelare l'unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei Ministri competenti per materia, può limitare l'oggetto del negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell'atto di iniziativa”.  Però il riferimento è rimesso alla sola trattativa tra Governo e singola Regione senza che si afferma un principio o criterio direttivo generale sull’armonia della distribuzione delle materie della autonomia differenziata tra tutte le Regioni.

 



CONDIZIONI PER TRASFERIMENTO DELLE FUNZIONI (ARTICOLO 4 della LEGGE)

Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP come definiti nelle modalità e contenti sopra illustrati, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio. 

Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio.

 

 


ULTERIORE ATTRIBUZIONE DI FUNZIONI AMMINISTRATIVE A ENTI LOCALI (ARTICOLO 6 della LEGGE)

Le funzioni amministrative trasferite alla Regione in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sono attribuite, dalla Regione medesima, contestualmente alle relative risorse umane, strumentali e finanziarie, ai comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano   conferite a province, città metropolitane e Regione, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

Restano ferme, in ogni caso, le funzioni fondamentali degli enti locali, con le connesse risorse umane, strumentali e finanziarie, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane), della Costituzione.

 

 

 

MISURE DI PEREQUAZIONE (ARTICOLO 10 della LEGGE)

L’articolo afferma che al fine di garantire l'unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, dell'insularità, della rimozione degli squilibri  economici e sociali e del perseguimento delle ulteriori finalità di cui all'articolo 119, quinto e sesto comma, della Costituzione, anche nei territori delle Regioni che non concludono le intese, lo Stato, in attuazione  dell'articolo 119 (QUI), commi terzo e quinto della Costituzione, promuove l'esercizio effettivo  dei  diritti civili e sociali  che devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell'esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all'articolo 117 (QUI), secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa  ricognizione  delle  risorse  allo  scopo destinabili, anche attraverso un elenco di prospettate misure che lasciano per ora il tempo che trovano vista la clausola di invarianza finanziaria dell’articolo 9 della LEGGE.

 



LA QUESTIONE DELLA INVARIANZA FINANZIARIA PER ATTUARE LA LEGGE

Come ho già sottolineato il comma 1 articolo 9 della LEGGE recita: “1. Dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.  Come sottolineano i ricorsi delle Regioni contro la LEGGE questa statuizione è costituzionalmente illegittima, in quanto non è possibile la devoluzione di ulteriori funzioni alle regioni senza che nuovi o maggiori oneri si determinino. Esempio l’articolo 8 (QUI) della LEGGE che tratta del ruolo della Commissione Paritetica (prevista dalle Intese di devoluzione, vedi sopra) relativamente alla ricognizione dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle medesime funzioni.

Non solo come ricorda il ricorso della Regione Puglia: “fintanto che la funzione oggetto di devoluzione non sia attribuita a tutte le regioni (evento incertus an et quando), lo Stato non potrà smantellare la propria struttura amministrativa di riferimento, con conseguenti e inevitabili duplicazioni di apparati (e, dunque, maggiori costi).”. Non casualmente la Corte Costituzionale (sentenza n. 82 del 2023) ha avuto modo di affermare: “… la clausola di invarianza finanziaria non può tradursi in una mera clausola di stile e che, “[o]ve la nuova spesa si ritenga sostenibile senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse, per effetto di una più efficiente e sinergica utilizzazione delle somme allocate nella stessa partita di bilancio per promiscue finalità, la pretesa autosufficienza non può comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostra zione economica e contabile” (sentenza n. 115 del 2012), consistente nell’esatta quantificazione delle risorse disponibili e della loro eventuale eccedenza utilizzabile per la nuova o maggiore spesa, i cui oneri devono essere specificamente quantificati per dimostrare l’attendibilità della copertura”. Quindi così come posto nella LEGGE la clausola di invarianza finanziaria viola l’articolo 81 (QUI) della Costituzione.

Non solo ma, come ricordato sempre dal ricorso della Regione Puglia, la previsione dei commi 7 e 8 articolo 3 della LEGGE della ricognizione e dell’aggiornamento dei LEP in regime di invarianza finanziaria è illegittima per violazione: dell’art. 2 della Costituzione (QUI) che impone il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini (la cui garanzia è resa evanescente dalla disposizione impugnata); dell’art. 3 della Costituzione (QUI) che impone allo Stato di intervenire per garantire l’eguaglianza anche sostanziale tra i cittadini nel godimento dei diritti costituzionali, quale che sia la loro posizione sociale.

 

 

 

RISORSE AGGIUNTIVE PER LE REGIONI IN DIFFICOLTÀ A PRESCINDERE DAI LEP

Sul punto è interessante quanto prevede l’Osservatorio dei Conti Pubblici di Cottarelli che riporta dati di Banca d’Italia sul rapporto tra quanto spendono le Regioni rispetto alle entrate fiscali territoriali, per cui se il saldo è positivo la spesa in più deve essere compensata dalle altre Regioni del Nord e Centro con saldo negativo. Si riprende questa tabella dal citato articolo dell’Osservatorio:



 

È chiaro che rispetto a questo quadro l’attuazione della autonomia differenziata potrebbe comportare che le Regioni del Nord e del Centro trattengano le somme “risparmiate” per sé  sottraendole al bilancio dello stato e alle altre Regioni soprattutto del Sud.

Non solo ma come dimostra questo studio pubblicato (QUI) sempre su Osservatorio dei conti pubblici italiani: “… il Pil aggregato di tutte le regioni del Mezzogiorno è piccolo rispetto a quello dell’intero Paese: meno del 22%. Se dunque le regioni del Nord si coalizzassero per ridurre l’ammontare dei trasferimenti verso il Mezzogiorno avrebbero un pool di risorse molto scarso a cui attingere, a meno di ipotizzare dei veri e propri disastri nel sistema di welfare delle regioni meridionali”.

Si aggiunge in questo articolo pubblicato (QUI) sulla testata <<inpiù>> che: “Se si applicasse in maniera rigorosa un principio di federalismo finanziario, lo Stato non potrebbe appropriarsi delle eventuali risorse in eccesso che si accumulassero in qualche regione; ciò che invece avviene attualmente, dato che lo Stato ha saldamente in mano la cassa e ogni anno la centellina alle regioni e alle altre autonomie locali, avendo ben presente la situazione dei conti pubblici. In sostanza, un sistema centralizzato può non essere efficiente perché deresponsabilizza gli amministratori locali, ma rassicura il ministro dell’economia (e i mercati) riguardo alla tenuta dei conti”.

 



LA MEMORIA DELLA BANCA D’ITALIA SUI RISCHI DI EQUILIBRIO DELLA FINANZA PUBBLICA NELLA ATTUAZIONE DELLA LEGGE

Nella memoria (QUI) depositata in data 19 giugno 2023 in Commissione affari costituzionali del Senato sul disegno di legge della autonomia differenziata a pagina 9 afferma: “Un assetto istituzionale estremamente differenziato potrebbe risultare poco trasparente per i cittadini, accrescendo i costi di coordinamento e indebolendo l’accountability dei diversi livelli di governo.

Tra i principi enunciati nel DDL (che ritroviamo nella LEGGE) vi è quello dell’iniziale bilanciamento tra entrate e spese trasferite, in modo da rendere neutrale almeno nell’immediato l’impatto del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica. Il rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio pubblico, tuttavia, non può essere trascurato. Come già ricordato, la spesa complessiva potrebbe risentire della frammentazione nell’erogazione dei servizi pubblici, oltre che di maggiori costi dovuti a diseconomie di scala.

La definizione dei LEP non implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio nazionale. Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un livello uniforme di servizi può avvenire solo attraverso una rimodulazione della spesa statale a favore delle Regioni in cui l’offerta di prestazioni è inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse che la spesa storica sinora sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia quella implicitamente necessaria a finanziare i LEP, si determinerebbe la “cristallizzazione” degli attuali divari nell’offerta di prestazioni pubbliche sul territorio.

 

Carenza di definizione di istruttorie per valutare in modo trasparente ed efficiente i reali vantaggi della devoluzione per ogni singola Regione

Sempre secondo la memoria della Banca d’Itali una cornice normativa più complessa e disomogenea sul territorio rischia di distorcere – e in ogni caso di rendere più difficoltose – le scelte delle imprese, per esempio richiedendo a quelle che operano su scala sovraregionale di adeguarsi a quadri regolamentari, per le materie devolute, che potrebbero essere anche molto diversi.

Sarebbe invece consigliabile prevedere un’istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo – sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese. L’assenza di criteri di accesso al regionalismo differenziato e l’opportunità di fornire informazioni sulle motivazioni e gli esiti di tale processo sono state rilevate, in più occasioni, anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio (cfr. “Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell’art. 116, 3° c., della Costituzione”, 10 luglio 2019 e “Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sui DDLL n. 615, 62 e 273 (attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario), 6 giugno 2023.

Le tre intese preliminari finora sottoscritte stabiliscono la devoluzione di una lista molto ampia di materie (16 delle 23 elencate dall’art. 116, comma 3, Cost. per l’Emilia-Romagna, 20 per la Lombardia e 23 per il Veneto) senza fornire motivazioni sull’opportunità di procedere in tal senso, se non un riferimento di carattere generale alle “specificità proprie della regione immediatamente funzionali alla sua crescita e sviluppo”.

Affinché siano garantiti miglioramenti tangibili sotto il profilo dell’efficienza microeconomica la concessione di forme di autonomia differenziata potrebbe essere subordinata a un’istruttoria per singola materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), che, attraverso procedure oggettive e metodologie condivise, documenti i benefici e i costi dell’eventuale trasferimento di funzioni.

Questione quella sopra riportata è ripresa dal ricorso della Regione Toscana: “La possibilità che la legge n. 86 del 2024 nel suo complesso e, in particolare, gli articoli 2, primo, secondo e quarto comma, e 4, offrono, di chiedere «forme e condizioni particolari di autonomia» pure in tutte le materie a cui rinvia l’art. 116, terzo comma, della Costituzione, senza nessun collegamento con la specificità della regione interessata determina, poi, un ulteriore vizio di legittimità costituzionale, rispetto all’art. 117, terzo comma, nonché (ancora) all’art. 138 della Costituzione.”

 

Banca d’Italia chiede gradualità nell’attuare la autonomia differenziata

Così conclude la Banca d’Italia nella sua memoria: In un contesto caratterizzato da mutamenti di ampia portata nell’economia globale, da condizioni finanziarie diventate meno favorevoli ai paesi ad alto debito pubblico e – all’interno del Paese – da ampi ritardi accumulati da alcune regioni, andranno valutate attentamente tutte le implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata, procedendo quindi con la necessaria gradualità. Diversamente, vi sarebbe il rischio di innescare processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti.

 


 

LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE UE SULLA LEGGE

Il Country Report dell’UE del 19 giugno 2024 (QUI), ha dedicato un paragrafo intero (pagina 19) al disegno di legge sulla autonomia differenziata poi tradotto nella LEGGE qui analizzata.

Si afferma nel Report UE: “La devoluzione di competenze supplementari alle regioni italiane comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche… pur attribuendo prerogative specifiche al governo nel processo negoziale, il disegno di legge non prevede alcun quadro comune per la valutazione delle richieste regionali di competenze supplementari. Inoltre, dato che i livelli essenziali delle prestazioni garantiscono soltanto livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i settori d'intervento, sussistono comunque rischi di un aumento delle disuguaglianze a livello regionale. La devoluzione differenziata di poteri supplementari alle regioni aumenterebbe altresì la complessità istituzionale, comportando il rischio di costi più elevati tanto per il settore pubblico quanto per quello privato.”

 

 


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