Con la legge 86/2024 QUI (di seguito LA LEGGE) si è data attuazione a quanto previsto dall’articolo 116 della Costituzione (QUI) sul c.d. regionalismo differenziato e/o autonomia differenziata.
Il post vuola analizzare i contenuti principali della LEGGE come le sue criticità utilizzando sia i ricorsi che varie Regioni hanno depositato alla Corte Costituzionale ma anche documenti ufficiali di Banca d'Italia e Commissione UE nonchè studi autorevoli di centri specializzati sulla gestione della spesa pubblica.
PREMESSA LA SINTESI DEL POST
Con le note che seguono si vogliono analizzare la disciplina:
1. Dei contenuti dell’atto di
iniziativa che ogni Regione potrà presentare per ottenere l’esercizio di
ulteriori funzioni nelle materie indicate dall’articolo 116 della Costituzione;
2. La procedura di approvazione
dell’atto di iniziativa e successivamente della Intesa da raggiungere tra la
Regione promotrice e lo Stato;
3. la durata e le modalità di
modifica cessazione efficacia della intesa;
4. La necessità prima di avviare
il trasferimento delle funzioni individuate nell’atto di intesa della
individuazione dei LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI (LEP) CONCERNENTI I
DIRITTI CIVILI E SOCIALI che dovranno essere garantiti su tutto il territorio
nazionale;
5. La procedura che porta alla
approvazione di individuazione dei LEP;
6. Il monitoraggio sul rispetto
delle erogazioni dei LEP da parte delle singole Regioni;
7. le modalità di aggiornamento
dei LEP.
Per ognuna di queste parti si riportano le principali criticità del testo della LEGGE che emergono dai ricorsi che ben 4 Regioni hanno sollevato contro la LEGGE, Si tratta delle Regioni governate dal centro sinistra che però quando approvò la introduzione nella Costituzione della autonomia differenziata regionale avrebbe dovuto riflettere più attentamente sulle possibili conseguenze di quella riforma senza privilegiare, come spesso accade nella politica italiana la logica di schieramento elettorale (vedi alla luce togliere l’argomento federalismo alla Lega Nord).
Per una SINTESI PER TEMI dei ricorsi vedi QUI
Per il testo COMPLETO dei ricorsi delle
Regioni utilizzati nel testo che segue vedi
Puglia QUI
Toscana QUI
Campania QUI
Si riportano anche in sintesi le
posizioni contenute:
1. nella Memoria della Banca d’Italia
in sede di audizione del disegno di legge che ha portato alla LEGGE ora in
esame;
2. della Commissione UE in suo
Report;
3. di vari studi di esperti in
materia di spesa pubblica.
COSA DICE, IN SINTESI, LARTICOLO 116 DELLA COSTITUZIONE CHE HA
INTRODOTTO LA AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Secondo l'articolo 116
della Costituzione comma 2 (riformato dalla legge 3/2001 QUI) sarà possibile che ciascuna Regione negozi con lo
Stato forme particolari di autonomia concernenti:
1. le materie di legislazione concorrente di cui al comma 3 dell'articolo 117 della Costituzione (QUI);
2. le seguenti materie di
legislazione esclusiva statale: organizzazione della giustizia di pace (lettera
l comma 2 articolo 117); norme generali di istruzione (lettera n comma 2
articolo 117); tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali (lettera
s comma 2 dell’articolo 117).
Il comma 2 dell’articolo 116
individua la procedura per ottenere i suddetti ulteriori ambiti di autonomia
per le singole Regioni. In particolare, si prevede che la ulteriore autonomia
venga riconosciuta con legge statale su iniziativa della Regione interessata,
sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119
(tutela delle autonomie locali QUI). La legge è approvata dalle Camere a
maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la
Regione interessata.
COSA SUCCEDE
DOPO LA APPROVAZIONE DELLA AUTONOMIA DIFFERENZIATA PER OGNI SINGOLA REGIONE
Una volta approvata la procedura che vedremo per la autonomia differenziata ex articolo 116 la potestà di legiferare alle Regioni nelle materie concorrenti non dovrà più sottostare al principio ex articolo 117 della Costituzione: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.”
In realtà questa è una
interpretazione che è molto presente come vedremo nella LEGGE ma occorre
considerare la lettera dell’articolo 116 della Costituzione che relativamente
alle materie interessate dalla autonomia differenziata afferma di “Ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia”. Questa dizione lascia presagire
che anche nelle materie trasferite debbano permane compiti statali. Senza dimenticare il riferimento, da parte sempre del comma
3 articolo 116, all’articolo 119 della Costituzione secondo il quale: “I
Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia
finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi
bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e
finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.”
Ad esempio, è auspicabile che in
materia come energia ma anche istruzione si mantengano poteri anche statali una
volta votata la legge attuativa della Intesa come previsto dalla LEGGE che
andiamo a descrivere. Stesso discorso vale per materie come Ambiente e Paesaggio
dove potrebbero pesare gli indirizzi della Corte Costituzionale sulla
unitarietà del bene ambiente e del paesaggio integrato con detto bene.
Peccato che, come vedremo, la
LEGGE lascia spazi di interpretazione applicativa in contrasto con quanto sopra
ripreso dai due articoli 116 e 119 della Costituzione. Criticità sottolineate
dai ricorsi delle Regioni come vedremo.
COME FUNZIONA LA PROCEDURA DI APPROVAZIONE DELLA INTESA PROPEDEUTICA
ALLA APPROVAZIONE DELLA LEGGE STATALE PER RICONOSCERE LA AUTONOMIA DIFFERENZATA
ALLE SINGOLE REGIONI
1. Atto di iniziativa della
Regione che può quindi consistere in una deliberazione di Giunta o al massimo
di Assemblea legislativa regionale secondo gli statuti e sentiti gli enti
locali.
2. Il Presidente del Consiglio
dei ministri, anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le
autonomie o dei Ministri competenti per materia, può limitare l'oggetto del
negoziato ad alcune materie o ambiti di materie individuati dalla Regione
nell'atto di iniziativa. “può” scrive la LEGGE, quindi potrebbe anche
non limitare mentre come abbiamo visto l’articolo 116 fa riferimento ad
ulteriori forme condizioni da cui risulta con chiarezza un limite preventivo alla
estensione del trasferimento delle competenze nelle materie, un limite non una
mera discrezionalità del Governo nazionale.
3. L'atto di iniziativa della
Regione è trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per
gli affari regionali e le autonomie che deve acquisire entro sessanta giorni la
valutazione dei Ministri competenti per materia e del Ministro dell'economia e
delle finanze, anche ai fini dell'individuazione delle necessarie risorse
finanziarie da assegnare. Norma questa ridicolizzata dal comma 1 articolo 9
della LEGGE che recita: “Dall'applicazione
della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.”. Ma su questa criticità si tornerà in seguito.
4. Decorso il termine dei 60
giorni per la valutazione finanziaria, comprensivo il quadro finanziario della
Regione, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari regionali
e le autonomie avvia comunque il negoziato con la Regione che, con riguardo a
materie o ambiti di materie riferibili ai livelli essenziali delle prestazioni
LEP), svolto per ciascuna singola materia o ambito di materia.
5. Lo schema di intesa con la
relazione tecnica sulla copertura finanziaria in versione definitiva è
approvato dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari
regionali e le autonomie.
6. Entro 60 giorni dalla
trasmissione la Conferenza stato regioni città esprime un parere sullo schema
di intesa. Lo schema di intesa preliminare è immediatamente trasmesso alle
Camere per l'esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si
esprimono con atti di indirizzo entro 90 giorni dalla trasmissione.
7. Il Presidente del Consiglio
può non uniformarsi all’atto di indirizzo delle Camere inviando apposita
relazione alle stesse dopodiché predispone lo schema di intesa definitivo.
8. Lo schema di intesa definitivo
é trasmesso alla Regione interessata, che lo approva secondo le modalità e le
forme stabilite nell'ambito della propria autonomia statutaria, assicurando la
consultazione degli enti locali.
9. Successivamente lo schema di
intesa è deliberato dal Consiglio dei Ministri.
10. Con lo schema di intesa
definitivo, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari
regionali e le autonomie, delibera un disegno di legge di approvazione
dell'intesa, che vi è allegata.
11. Il disegno di legge di cui sopra,
cui è allegata l'intesa, è immediatamente trasmesso alle Camere per la
deliberazione, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Come sottolineato dai ricorsi delle Regioni
già citati il terzo comma dell’articolo 116 non usa il termine deliberazione ma
approvazione a maggioranza assoluta della legge da parte delle Camere violando
la procedura di cui all’articolo 72 (QUI)
della Costituzione, trasformando la “deliberazione” del Parlamento in una sorta
di ratifica.
12. La LEGGE fissa una durata
della Intesa (non oltre 10 anni) ma in realtà questa può essere prorogata senza
disdetta salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno
dodici mesi prima della scadenza.
I LEP: LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI CONCERNENTI I DIRITTI
CIVILI E SOCIALI
Nella seconda parte comma 2
articolo1 della LEGGE si afferma che l’attribuzione di ulteriori funzioni alle
Regioni è consentita non solo dopo la determinazione dei: “livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali” ex
lettera m) secondo comma articolo 117 della Costituzione. Tali LEP indicano la
soglia costituzionalmente necessaria e costituiscono il nucleo invalicabile per
rendere effettivi tali diritti su tutto il territorio nazionale.
Per l'individuazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP), il Governo è delegato
ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della LEGGE
(vedi da del 11 luglio 2024), uno o più decreti legislativi.
La LEGGE fa riferimento ai fini
della determinazione dei LEP ai criteri di cui ai commi da 791 a 791
dell’articolo 1 della legge 197/2022 (QUI).
Secondo i ricorsi delle Regioni le richiamate disposizioni della legge 197/2022
non contengono principi e criteri direttivi per l’esercizio della delega
legislativa, che finisce, in sostanza, per essere «in bianco», in patente
violazione dell’art. 76 (QUI)
della Costituzione.
IL LIMITE DI AVERE PREVISTO SOLO UN PARERE DELLA CONFERENZA UNIFICATA
STATO REGIONI CITTÀ SUI DLGS PER LA DETERMINAZIONE DEI LEP
Il secondo comma dell’art. 3
della LEGGE prevede che i decreti legislativi di cui al primo comma
(per l’individuazione dei LEP) siano adottati su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie,
di concerto con i Ministri competenti e previa acquisizione del parere della
Conferenza unificata. I ricorsi delle Regioni contestano che la Conferenza
unificata stato regioni si pronunci solo con un parere. Secondo i ricorsi l’intesa
è quindi necessaria in tutti quei casi in cui vi sia un concorso di competenze
inestricabilmente connesse tra Stato e regioni, giacché essa, a differenza del parere,
è la sola ad essere «contraddistinta da una procedura che consenta lo
svolgimento di genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento» (Corte
costituzionale, 13 dicembre 2017, n. 261(QUI).
Le norme testé indicate contrastano con il principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 della Costituzione. Come affermato dalla Corte costituzionale sentenza n. 251 del 2016 (QUI): “Solo l’intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgimento di genuine trattative, garantisce un reale coinvolgimento”.
VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEALE
COLLABORAZIONE NEL MONITORAGGIO PER LA VERIFICA DELLE EFFETTIVA EROGAZIONE DEI
LEP
Secondo il ricorso della Regione
Campania in base alla legge impugnata, tutte le Regioni potrebbero richiedere
l’attribuzione di competenze legislative, senza che tale richiesta debba
fondarsi su peculiarità del relativo territorio; ne deriva che sarebbe
possibile richiedere ulteriori competenze in tutte le materie di cui all’art.
117, comma 3, della Costituzione. Così disponendo, secondo il ricorso, la LEGGE impugnata apre
la strada alla potenziale sparizione – o comunque al significativo
ridimensionamento – della potestà legislativa concorrente e, conseguentemente,
a uno snaturamento del rapporto tra Stato e Regioni, di cui la potestà
legislativa concorrente costituisce uno dei capisaldi. Tutto si traduce in un
illegittimo intervento sul sistema di riparto di competenze previsto dalla
Costituzione, che non può certo essere posto in essere sulla base di una mera
legge ordinaria, pena la violazione dell’art. 138 della Costituzione (QUI).
Il ricorso dela Campania cita la giurisprudenza
costituzionale, dove si afferma che in materie di competenza legislativa
concorrente lo Stato deve fissare i principi fondamentali, e così «prescrivere
criteri e obiettivi, mentre all’altra [alla legge regionale, ndr] spetta
l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi» (Corte costituzionale, 14 novembre 2013, n. 272 QUI). Il
legislatore statale ha dunque il compito di definire obiettivi necessariamente
validi per l’intero territorio nazionale, mentre a quello regionale è rimessa
la scelta del quomodo relativamente alle modalità di attuazione. In questo
quadro, il trasferimento di interi blocchi di materie oggetto di competenza
concorrente, in base all’art. 117, comma 3, della Costituzione, impedisce
l’operatività della potestà legislativa statale e, perciò, rimette a ciascuna
Regione la possibilità di definire obiettivi anche in distonia rispetto alle
altre.
Il principio di leale
collaborazione è altresì violato dall’art. 3, comma 5, della LEGGE, che attiene alla fase di monitoraggio dell’effettiva garanzia
dell’erogazione dei LEP nelle regioni che hanno sottoscritto le intese. In tal
caso, infatti, il monitoraggio è effettuato dalla Commissione paritetica di cui
all’art. 5 della medesima LEGGE, e al comma 5 dell’art. 3.
Secondo i ricorsi delle Regioni si prevede che la Conferenza unificata, sulla
base degli esiti di tale monitoraggio, «adotta, sentito il Presidente della
regione interessata, le necessarie raccomandazioni alle regioni interessate al
fine di superare le criticità riscontrate». Nella fase di monitoraggio
dell’effettiva garanzia dell’erogazione dei LEP, dunque la Conferenza
Stato-regioni non è in alcun modo contemplata, con conseguente violazione degli
articoli 5 (QUI) e 120 (QUI)della Costituzione per contrasto con il principio di leale
collaborazione
IL RUOLO LIMITATO DEL PARLAMENTO NELLA APPROVAZIONE E AGGIORNAMENTO DEI DLGS SULLA DETERMINAZIONE DEI LEP
Sugli schemi di Dlgs dei LEP si
pronuncia il Parlamento ma se la Presidenza del Consiglio non condivide la
posizione delle Commissione Parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle
Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari
elementi integrativi di informazione e motivazione.
Le Commissioni competenti per
materia e per i profili finanziari possono esprimersi sulle osservazioni del
Governo entro il termine di venti giorni dall'assegnazione, decorso il quale il
decreto legislativo può essere comunque emanato.
L’art. 3, settimo comma, della
LEGGE prevede che i LEP, individuati con decreto legislativo ai sensi
del precedente primo comma, «possono essere aggiornati periodicamente [...] con Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri». Sul punto occorre rilevare
Secondo i ricorsi delle Regioni la
Corte costituzionale, sin dai primi interventi sul Titolo V della parte seconda
della Costituzione, ha avuto modo di precisare che quella di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera m) , è «una competenza del legislatore idonea a
investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve
poter porre le norme necessarie per assi curare a tutti, sull’intero territorio
nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale dei
diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle»
(sentenza n. 282 del 2002 QUI). Da questo si ricava la incostituzionalità della
LEGGE nel momento in cui prevede che l’aggiornamento dei LEP avvenga con DPCM
quale fonte secondarie emessa da organo monocratico.
MATERIE INTERESSATE DAI LEP (COMMA 3 ARTICOLO 3 della LEGGE)
Si tratta di tutte le materie di
legislazione concorrente ex comma 3 articolo 117 della Costituzione e quelle
del comma 3 articolo 116 (istruzione, ambiente- beni culturali, giudice di
pace).
In particolare, questo è l’elenco
completo previsto dal comma 3 articolo 3 della LEGGE:
a) norme generali
sull'istruzione;
b) tutela dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali;
c) tutela e sicurezza del lavoro;
d) istruzione;
e) ricerca scientifica e
tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
f) tutela della salute;
g) alimentazione;
h) ordinamento sportivo;
i) governo del territorio;
l) porti e aeroporti civili;
m) grandi reti di trasporto e di
navigazione;
n) ordinamento della
comunicazione;
o) produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia;
p) valorizzazione dei beni
culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.
Non sono comprese nell’elenco di
materie di legislazione concorrente ed esclusiva trasferibili per le quali
occorrono i LEP:
1. rapporti internazionali e con
l’Unione europea;
2. commercio con l’estero;
3. professioni;
4. protezione civile;
5. previdenza complementare e
integrativa;
6. coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario;
7. casse di risparmio, casse
rurali, aziende di credito a carattere regionale;
8. enti di credito fondiario e
agrario a carattere regionale.
Per queste materie alcune Regioni
del Nord avanzerebbero la richiesta di avviare la procedura di trasferimento
senza la definizione dei LEP.
Come ricordano i ricorsi delle
Regioni, nella sentenza n. 282 del 2002 (QUI) la Corte Costituzionale ha esplicitamente
chiarito che, «quanto […] ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali, non si tratta di una “materia” in senso stretto, ma
di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie,
rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie
per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di
prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la
legislazione regionale possa limitarle o condizionarle».
Ma v’è ancora di più. L’art. 2,
comma 1, della LEGGE, nel disciplinare il procedimento di
approvazione delle intese fra Stato e regione, stabilisce che il negoziato con
la regione richiedente «con riguardo a materie o ambiti di materie riferibili
ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 3, è svolto per
ciascuna singola materia o ambito di materia». Da ciò sembra doversi inferire
che le nove materie escluse dalla determinazione dei LEP (perché
illegittimamente reputate non «LEP- condizionate») possono essere devolute alle
regioni richiedenti non solo immediatamente ma persino «in blocco» e
senza neppure un negoziato relativo alla singola materia. Anche tale
previsione, risultano, per il ricorso delle Regioni, violati gli articoli 2, 3, 5, 81, 97, 116, comma 3, 117,
comma 2, lettera m) , 119, commi 3, 4 e 5, 120 della Costituzione.
LA DELEGA IN BIANCO AL GOVERNO
NEL PREDISPORRE I DECRETI LEGISLATIVI PER INDIVIDUARE I LEP
Il ricorso della Regione Campania,
nel riprendere quelli di Puglia e Toscana, afferma che l’art. 3 della LEGGE contrasta patentemente con le disposizioni in rubrica, poiché non
individua i principi e i criteri direttivi che dovrebbero guidare l’attività di
determinazione dei LEP. Più precisamente, l’art. 3 della LEGGE delega il Governo a
adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge,
uno o più decreti legislativi, sulla base dei principi e criteri direttivi di
cui all’art. 1, commi da 791 a 801 -bis , della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (QUI). Senonché, queste ultime disposizioni si limitano a delineare la procedura per
l’emanazione di d.P.C.M., presentati da una cabina di regia a tale scopo
istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma non contengono
certo principi e criteri direttivi, idonei a indirizzare l’esercizio della
funzione legislativa. Si tratta,secondo il ricorso, di una vera e propria delega «in
bianco», in contrasto – come sancito da costante giurisprudenza costituzionale
- con l’art. 76 della Costituzione (QUI).
LA CARENZA DI ARMONIA DELLA DISTRIBUZIONE DELLE MATERIE TRA LE REGIONI
SECONDO I RICORSI DELLE REGIONI
Secondo tutti i ricorsi delle
Regioni: la LEGGE non contiene alcuna norma che garantisca un minimo di armonia
tra la distribuzione delle materie alle Regioni rischiando una Repubblica a
macchia di leopardo che non favorisce il rispetto di principi costituzionali
come quello della libertà di impresa ma anche della tutela dell’ambiente come
bene unitario per non parlare di altri settori come la sanità e i trasporti
nonché l’energia. È vero che l’ articolo 2 della LEGGE afferma che “Al fine
di tutelare l'unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a
politiche pubbliche prioritarie, il Presidente del Consiglio dei ministri,
anche su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dei
Ministri competenti per materia, può limitare l'oggetto del negoziato ad alcune
materie o ambiti di materie individuati dalla Regione nell'atto di iniziativa”. Però il riferimento è rimesso alla sola
trattativa tra Governo e singola Regione senza che si afferma un principio o
criterio direttivo generale sull’armonia della distribuzione delle materie
della autonomia differenziata tra tutte le Regioni.
CONDIZIONI PER TRASFERIMENTO DELLE FUNZIONI (ARTICOLO 4 della LEGGE)
Il trasferimento delle funzioni, con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, concernenti materie o ambiti di materie riferibili ai LEP come definiti nelle modalità e contenti sopra illustrati, può essere effettuato, secondo le modalità e le procedure di quantificazione individuate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard, nei limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio.
Qualora dalla determinazione dei LEP di cui al primo periodo derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, ivi comprese le Regioni che non hanno sottoscritto le intese, al fine di scongiurare disparità di trattamento tra Regioni, coerentemente con gli obiettivi programmati di finanza pubblica e con gli equilibri di bilancio.
ULTERIORE ATTRIBUZIONE DI FUNZIONI AMMINISTRATIVE A ENTI LOCALI
(ARTICOLO 6 della LEGGE)
Le funzioni amministrative
trasferite alla Regione in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della
Costituzione sono attribuite, dalla Regione medesima, contestualmente alle
relative risorse umane, strumentali e finanziarie, ai comuni, salvo che, per
assicurarne l'esercizio unitario, siano
conferite a province, città metropolitane e Regione, sulla base dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
Restano ferme, in ogni caso, le
funzioni fondamentali degli enti locali, con le connesse risorse umane,
strumentali e finanziarie, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni,
Province e Città metropolitane), della Costituzione.
MISURE DI PEREQUAZIONE (ARTICOLO 10 della LEGGE)
L’articolo afferma che al fine di
garantire l'unità nazionale, nonché la promozione dello sviluppo economico,
della coesione e della solidarietà sociale, dell'insularità, della rimozione
degli squilibri economici e sociali e
del perseguimento delle ulteriori finalità di cui all'articolo 119, quinto e
sesto comma, della Costituzione, anche nei territori delle Regioni che non
concludono le intese, lo Stato, in attuazione dell'articolo 119 (QUI),
commi terzo e quinto della Costituzione, promuove l'esercizio effettivo dei
diritti civili e sociali che
devono essere garantiti dallo Stato e dalle amministrazioni regionali e locali nell'esercizio
delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle
funzioni fondamentali di cui all'articolo 117 (QUI),
secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione, previa ricognizione
delle risorse allo scopo
destinabili, anche attraverso un elenco di prospettate misure che lasciano per
ora il tempo che trovano vista la clausola di invarianza finanziaria
dell’articolo 9 della LEGGE.
LA QUESTIONE DELLA INVARIANZA FINANZIARIA PER ATTUARE LA LEGGE
Come ho già sottolineato il
comma 1 articolo 9 della LEGGE recita: “1. Dall'applicazione della
presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica”. Come sottolineano i ricorsi delle Regioni
contro la LEGGE questa statuizione è costituzionalmente illegittima, in quanto
non è possibile la devoluzione di ulteriori funzioni alle regioni senza che
nuovi o maggiori oneri si determinino. Esempio l’articolo 8 (QUI)
della LEGGE che tratta del ruolo della Commissione Paritetica (prevista dalle
Intese di devoluzione, vedi sopra) relativamente alla ricognizione dell'allineamento tra i fabbisogni di spesa già definiti e
l'andamento del gettito dei tributi compartecipati per il finanziamento delle
medesime funzioni.
Non solo come ricorda il ricorso
della Regione Puglia: “fintanto che la funzione oggetto di devoluzione non
sia attribuita a tutte le regioni (evento incertus an et quando), lo Stato non
potrà smantellare la propria struttura amministrativa di riferimento, con
conseguenti e inevitabili duplicazioni di apparati (e, dunque, maggiori costi).”.
Non casualmente la Corte Costituzionale (sentenza n. 82 del 2023) ha avuto modo
di affermare: “… la clausola di invarianza finanziaria non può tradursi in
una mera clausola di stile e che, “[o]ve la nuova spesa si ritenga sostenibile
senza ricorrere alla individuazione di ulteriori risorse, per effetto di una
più efficiente e sinergica utilizzazione delle somme allocate nella stessa
partita di bilancio per promiscue finalità, la pretesa autosufficienza non può
comunque essere affermata apoditticamente, ma va corredata da adeguata dimostra
zione economica e contabile” (sentenza n. 115 del 2012), consistente
nell’esatta quantificazione delle risorse disponibili e della loro eventuale
eccedenza utilizzabile per la nuova o maggiore spesa, i cui oneri devono essere
specificamente quantificati per dimostrare l’attendibilità della copertura”.
Quindi così come posto nella LEGGE la clausola di invarianza finanziaria viola
l’articolo 81 (QUI)
della Costituzione.
Non solo ma, come ricordato
sempre dal ricorso della Regione Puglia, la previsione dei commi 7 e 8 articolo
3 della LEGGE della ricognizione e dell’aggiornamento dei LEP in regime di
invarianza finanziaria è illegittima per violazione: dell’art. 2 della
Costituzione (QUI) che impone il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini (la
cui garanzia è resa evanescente dalla disposizione impugnata); dell’art. 3
della Costituzione (QUI) che impone allo Stato di intervenire per garantire
l’eguaglianza anche sostanziale tra i cittadini nel godimento dei diritti
costituzionali, quale che sia la loro posizione sociale.
RISORSE AGGIUNTIVE PER LE REGIONI IN DIFFICOLTÀ A PRESCINDERE DAI LEP
Sul punto è interessante quanto
prevede l’Osservatorio dei Conti Pubblici di Cottarelli che riporta dati di
Banca d’Italia sul rapporto tra quanto spendono le Regioni rispetto alle
entrate fiscali territoriali, per cui se il saldo è positivo la spesa in più
deve essere compensata dalle altre Regioni del Nord e Centro con saldo
negativo. Si riprende questa tabella dal citato articolo dell’Osservatorio:
È chiaro che rispetto a questo
quadro l’attuazione della autonomia differenziata potrebbe comportare che le
Regioni del Nord e del Centro trattengano le somme “risparmiate” per sé sottraendole al bilancio dello stato e alle
altre Regioni soprattutto del Sud.
Non solo ma come dimostra questo studio pubblicato (QUI) sempre su Osservatorio dei conti pubblici italiani: “… il Pil aggregato di tutte le regioni del Mezzogiorno è piccolo rispetto a quello dell’intero Paese: meno del 22%. Se dunque le regioni del Nord si coalizzassero per ridurre l’ammontare dei trasferimenti verso il Mezzogiorno avrebbero un pool di risorse molto scarso a cui attingere, a meno di ipotizzare dei veri e propri disastri nel sistema di welfare delle regioni meridionali”.
Si aggiunge in questo articolo
pubblicato (QUI)
sulla testata <<inpiù>> che: “Se si applicasse in maniera
rigorosa un principio di federalismo finanziario, lo Stato non potrebbe
appropriarsi delle eventuali risorse in eccesso che si accumulassero in qualche
regione; ciò che invece avviene attualmente, dato che lo Stato ha saldamente in
mano la cassa e ogni anno la centellina alle regioni e alle altre autonomie
locali, avendo ben presente la situazione dei conti pubblici. In sostanza, un
sistema centralizzato può non essere efficiente perché deresponsabilizza gli
amministratori locali, ma rassicura il ministro dell’economia (e i mercati)
riguardo alla tenuta dei conti”.
LA MEMORIA DELLA BANCA D’ITALIA SUI
RISCHI DI EQUILIBRIO DELLA FINANZA PUBBLICA NELLA ATTUAZIONE DELLA LEGGE
Nella memoria (QUI)
depositata in data 19 giugno 2023 in Commissione affari costituzionali del
Senato sul disegno di legge della autonomia differenziata a pagina 9 afferma: “Un
assetto istituzionale estremamente differenziato potrebbe risultare poco
trasparente per i cittadini, accrescendo i costi di coordinamento e indebolendo
l’accountability dei diversi livelli di governo.
Tra i principi enunciati nel DDL
(che ritroviamo nella LEGGE) vi è quello dell’iniziale bilanciamento tra
entrate e spese trasferite, in modo da rendere neutrale almeno nell’immediato
l’impatto del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica. Il
rischio che da tale processo possano derivare maggiori oneri per il bilancio
pubblico, tuttavia, non può essere trascurato. Come già ricordato, la spesa
complessiva potrebbe risentire della frammentazione nell’erogazione dei servizi
pubblici, oltre che di maggiori costi dovuti a diseconomie di scala.
La definizione dei LEP non
implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano
adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio
nazionale. Data la clausola di invarianza della spesa, la convergenza a un
livello uniforme di servizi può avvenire solo attraverso una rimodulazione
della spesa statale a favore delle Regioni in cui l’offerta di prestazioni è
inferiore ai LEP. Se, in alternativa, si assumesse che la spesa storica sinora
sostenuta dallo Stato in ciascuna regione sia quella implicitamente necessaria
a finanziare i LEP, si determinerebbe la “cristallizzazione” degli attuali
divari nell’offerta di prestazioni pubbliche sul territorio.
Carenza di definizione di istruttorie per valutare in modo trasparente
ed efficiente i reali vantaggi della devoluzione per ogni singola Regione
Sempre secondo la memoria della
Banca d’Itali una cornice normativa più complessa e disomogenea sul territorio
rischia di distorcere – e in ogni caso di rendere più difficoltose – le scelte
delle imprese, per esempio richiedendo a quelle che operano su scala
sovraregionale di adeguarsi a quadri regolamentari, per le materie devolute,
che potrebbero essere anche molto diversi.
Sarebbe invece consigliabile
prevedere un’istruttoria per ciascuna materia (ed eventualmente per specifiche
funzioni all’interno della materia considerata), suffragata da un’analisi
basata su metodologie condivise, trasparenti e validate dal punto di vista
scientifico, per valutare i vantaggi del decentramento rispetto allo status quo
– sia per la Regione interessata sia per il resto del Paese. L’assenza di
criteri di accesso al regionalismo differenziato e l’opportunità di fornire
informazioni sulle motivazioni e gli esiti di tale processo sono state
rilevate, in più occasioni, anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio (cfr.
“Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio su attuazione e prospettive
del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle
intese ai sensi dell’art. 116, 3° c., della Costituzione”, 10 luglio 2019 e
“Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sui DDLL n. 615, 62 e 273
(attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario), 6
giugno 2023.
Le tre intese preliminari finora
sottoscritte stabiliscono la devoluzione di una lista molto ampia di materie
(16 delle 23 elencate dall’art. 116, comma 3, Cost. per l’Emilia-Romagna, 20
per la Lombardia e 23 per il Veneto) senza fornire motivazioni sull’opportunità
di procedere in tal senso, se non un riferimento di carattere generale alle
“specificità proprie della regione immediatamente funzionali alla sua crescita
e sviluppo”.
Affinché siano garantiti miglioramenti tangibili sotto il profilo dell’efficienza microeconomica la concessione di forme di autonomia differenziata potrebbe essere subordinata a un’istruttoria per singola materia (ed eventualmente per specifiche funzioni all’interno della materia considerata), che, attraverso procedure oggettive e metodologie condivise, documenti i benefici e i costi dell’eventuale trasferimento di funzioni.
Questione quella sopra riportata è ripresa dal ricorso della Regione Toscana: “La possibilità che la legge n. 86 del 2024 nel suo complesso e, in particolare, gli articoli 2, primo, secondo e quarto comma, e 4, offrono, di chiedere «forme e condizioni particolari di autonomia» pure in tutte le materie a cui rinvia l’art. 116, terzo comma, della Costituzione, senza nessun collegamento con la specificità della regione interessata determina, poi, un ulteriore vizio di legittimità costituzionale, rispetto all’art. 117, terzo comma, nonché (ancora) all’art. 138 della Costituzione.”
Banca d’Italia chiede gradualità nell’attuare la autonomia
differenziata
Così conclude la Banca d’Italia
nella sua memoria: In un contesto caratterizzato da mutamenti di ampia portata
nell’economia globale, da condizioni finanziarie diventate meno favorevoli ai
paesi ad alto debito pubblico e – all’interno del Paese – da ampi ritardi
accumulati da alcune regioni, andranno valutate attentamente tutte le
implicazioni dell’attuazione dell’autonomia differenziata, procedendo quindi
con la necessaria gradualità. Diversamente, vi sarebbe il rischio di innescare
processi difficilmente reversibili e dagli esiti incerti.
LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE UE SULLA LEGGE
Il Country Report dell’UE del 19
giugno 2024 (QUI),
ha dedicato un paragrafo intero (pagina 19) al disegno di legge sulla autonomia
differenziata poi tradotto nella LEGGE qui analizzata.
Si afferma nel Report UE: “La
devoluzione di competenze supplementari alle regioni italiane comporta rischi
per la coesione e le finanze pubbliche… pur attribuendo prerogative specifiche
al governo nel processo negoziale, il disegno di legge non prevede alcun quadro
comune per la valutazione delle richieste regionali di competenze
supplementari. Inoltre, dato che i livelli essenziali delle prestazioni
garantiscono soltanto livelli minimi di servizi e non riguardano tutti i
settori d'intervento, sussistono comunque rischi di un aumento delle
disuguaglianze a livello regionale. La devoluzione differenziata di poteri
supplementari alle regioni aumenterebbe altresì la complessità istituzionale,
comportando il rischio di costi più elevati tanto per il settore pubblico
quanto per quello privato.”
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