Il Consiglio di Stato con sentenza pubblicata lo scorso 8 aprile 2024 (QUI) è nuovamente intervenuto sul progetto per un impianto di stoccaggio e rigassificazione proposto a Cagliari dopo la sentenza del 2023 (QUI).
La sentenza afferma
una visione elitaria della procedura di VIA che da strumento di valutazione
degli impatti di un progetto in un dato sito che richiede un coinvolgimento
attivo delle comunità locali e quindi una adeguata e approfondita ponderazione
degli interessi molteplici impattati dal progetto, diventa invece una sorta di
autorizzazione in mano ad una quasi assoluta discrezionalità della Autorità
Competente non contestabile dai cittadini ma anche dagli stessi giudici che
quindi si autossolvono dal loro ruolo.
In questo senso la
sentenza assume i caratteri di sentenza politica volta ad affermare il
principio per cui su certi progetti considerati “strategici”, peraltro in modo
contraddittorio come vedremo nel caso in esame, non c’è spazio per
contestazioni politiche, tecniche scientifiche e giuridiche da parte di chi
rappresenta le comunità interessate. D’altronde questo indirizzo, diciamo quasi
militante dei giudici di Palazzo Spada, lo troviamo anche nella sentenza del
Tar Lazio sulla unità rigassificatrice galleggiante a Piombino QUI.
La sentenza poi riafferma una visione ristretta del concetto di alternativa ed opzione zero nel procedimento di VIA.
Vediamo partitamente le questioni sopra sintetizzate
La sentenza afferma:
«nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale,
l'amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce
in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout
court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo
profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e
istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati
coinvolti» (Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2022, n. 1761).
Aggiunge la
sentenza del Consiglio di Stato: “- solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via
immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure e
conseguentemente il sindacato sulla motivazione delle valutazioni
discrezionali) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica
della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti e
non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non
condivisibilità della valutazione stessa”
Affermazione contraddittoria
perché da un lato si afferma che la VIA è una procedura a discrezionalità mista
e allo stesso tempo che non può essere contestata salvo caso di palesi
contraddittorietà nella motivazione dell’atto conclusivo del procedimento, come
fosse quindi in realtà una decisione tecnica non contestabile da nessuno che
non faccia parte della Amministrazione competente.
Secondo la giurisprudenza amministrativa la VIA (intesa
come procedura amministrativa) è una sintesi di valutazioni tecniche – socio-politiche
compresa la partecipazione dei cittadini. Il Consiglio di Stato Sez. V
n.3254 del 31 maggio 2012 ha affermato che: “Non può sostenersi pertanto che la valutazione di impatto ambientale sia un
mero atto (tecnico) di gestione ovvero di amministrazione in senso stretto,
rientrante come tale nelle attribuzioni proprie dei dirigenti, trattandosi
piuttosto di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria
funzione di indirizzo politico – amministrativo con particolare
riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura
ed il bilanciamento della molteplicità dei (contrapposti) interessi, pubblici
(urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico –
sociale) e privati, che su di esso insistono, come tale correttamente affidata
all’organo di governo, nel caso di specie la Giunta regionale.”
Non solo ma la affermazione della sentenza per cui solo
l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse
pubblico affidato dalla legge alle sue cure e conseguentemente il sindacato
sulla motivazione delle valutazioni discrezionali” esprime una visione
veramente vetusta del concetto di intesse pubblico e di come debba essere
identificato e quindi debba essere definito chi ha titolo per tutelarlo tanto
più in un procedimento a rilevanza ambientale.
Tutto questo esprime una cultura autoritaria dei processi decisionali che cozza, al di la delle questioni giuridiche, con documenti ufficiali.
Un esempio concreto della contraddizione tra enunciazioni teoriche e concreta decisione dei processi decisionali è un Documento prodotto dal sistema agenziale, del 2018, con il supporto del Ministero della Salute e pubblicato nei quaderni dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l´ambiente e l´energia dell´Emilia-Romagna (Arpae).
Il documento si intitola “Documento guida di comunicazione del rischio ambientale”.
Un documento molto interessante che pone al centro dei processi decisionali quello che viene definita la percezione sociale del rischio. Percezione che cerca di rispondere alla: “palese inefficacia dei modelli di gestione del rischio fondati su mere valutazioni tecnico scientifiche e su calcoli costi benefici” (pagina 19 del Documento in questione), ed aggiunge: "
Nella presentazione del quaderno (vedi QUI) si afferma quanto segue: “se da un lato l’Europa richiede decisioni pubbliche fondate sulle evidenze scientifiche, dall’altro è necessario, quando si parla di rischi per la salute, tenere in debito conto anche la loro percezione e quindi utilizzare conoscenze sviluppate nei campi della sociologia, antropologia, psicologia, nonché prodotte dalla comunità. Il rischio è infatti un fenomeno costantemente costruito e negoziato in quanto elemento di una rete di interazione sociale e di produzione di senso sia nel contesto scientifico sia al suo esterno. Un fattore chiave da considerare nell’analisi della percezione del rischio è l’outrage, il senso di oltraggio e indignazione provocato dal rischio, strettamente collegato alla fiducia nelle persone/enti di controllo e alla familiarità del contesto.”
Tornando agli aspetti giuridici questa visione del
Consiglio di Stato contrasta anche con un chiaro indirizzo della Corte
Costituzionale per cui nell’ambito dell’attività discrezionale della PA , la
singola amministrazione non è più semplicemente un centro d’imputazione
attributario della cura di uno specifico e ben definito interesse, ma è sempre
più spesso una figura soggettiva chiamata ad operare scelte dispositive
(distributive) di risorse limitate, dopo aver condotto una propedeutica
valutazione di compatibilità fra – plurimi - interessi pubblici, e fra questi e
quelli dei privati, in relazione ai vari, possibili usi di tali risorse,
ciascuno corrispondente ad un dato interesse.
In particolare si veda la sentenza n. 302/1994 che,
in riferimento ai processi decisionali a rilevanza ambientale, ha affermato: “in una corretta e moderna
concezione costituisce un valore costituzionale dal contenuto
‘integrale’, nel senso che in esso vengono sommati una pluralità di valori non limitabili solo
agli aspetti storici e culturali, sanitari ed ecologici della tutela,
ma comprensivi pure di esigenze e di istanze partecipative, la cui
realizzazione implica non solo l’attivazione di tutti i soggetti pubblici (in
virtù del principio della leale collaborazione), ma anche quello dei membri
della società civile, dei quali non può essere trascurato il positivo
contributo per una efficace tutela dei beni ambientali”.
UNA VISIONE BEN DIVERSA DA QUANTO AFFERMA IL CONSIGLIO DI STATO SUL RIGASSIFICATORE DI CAGLIARI: “solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure”!
LA QUESTIONE DELLE ALTERNATIVE E DELLA OPZIONE ZERO NELLA
VIA COME INTERPRETATE DAL CONSIGLIO DI STATO.
Intanto il Consiglio di Stato da un lato ricorda che il
sito del rigassificatore oggetto della sentenza sarebbe previsto da una
decisione nazionale relativa ai porti facenti parte reti trans-europee di
trasporto (Reti TEN-T di cui al Regolamento UE 1315/2013). Quindi il
sito di Cagliari dovrebbe essere frutto di una procedura di verifica e
confronto tra i 14 porti core italiani a livello nazionale come peraltro
previsto dal DLgs 257/2016 (QUI). Dopo aver affermato questo il Consiglio di Stato
invece trasforma il progetto in questione in un progetto locale tutto
strettamente legato alla Sardegna affermando che erano stati scelti tre siti ma
sostanzialmente sempre nell’area portuale in questione.
Quindi per i Consiglio di Stato quando conviene il progetto è di
interesse strategico addirittura europeo (ce lo dice la UE sic!) poi lo fa
diventare un progetto di mero interesse regionale quando tratta la opzione zero.
Vi riporto un passaggio significativo della sentenza che pone: “in
evidenza gli importanti benefici scaturenti dalla realizzazione del progetto,
tra cui, in particolare:
-la creazione di alternative energetiche nel
territorio;
-l’aumento della flessibilità del servizio di fornitura energetica;
-la riduzione delle tariffe alle utenze attraverso il passaggio in rete
del metano a luogo dell’aria propanata;
-la riduzione dell’impatto ambientale attraverso l’impiego di fonti di
energia alternative a quelle fossili quali i derivati del petrolio e il carbone.”.
Ma nella VIA la opzione zero deve essere fondata prima di
tutto sulla dimostrata o meno incompatibilità del progetto con un sito ma il
Consiglio di Stato riporta parametri generici su alternative energetiche (siamo
sicuri che possa essere solo il gas?) o facendo confronti tra gas e petrolio e
carbone e non con altre fonti ad esempio rinnovabili. Per non parlare delle
tariffe e flessibilità del servizio di fornitura energetica che con gli impatti
ambientali non c’entrano nulla.
Non parliamo della riduzione delle emissioni aeriformi
viste le emissioni di gas dai rigassificatori come dimostrano documenti
ufficiali della Agenzia Internazionale per l’energia ( QUI,
QUI,
QUI)di
cui la sentenza ovviamente non tratta. A questo occorre aggiungere la questione
dei gas serra dal ciclo del gnl QUI.
Insomma, a seguire la logica del Consiglio di Stato il
progetto si deve fare non perché compatibile ambientalmente con il sito ma o per
esigenze nazionali ed europee o perché serve alle politiche industriali della
Sardegna.
Sempre di più la Valutazione di Impatto Ambientale sta
diventando, anche nella giurisprudenza amministrativa, strumento per
giustificare a priori un progetto per cui è il sito a doversi piegare al
progetto con buona pace delle vere alternative ragionevoli di cui parla la
legge e della opzione zero.
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