Sentenza (QUI)
della Corte Europea dei diritti dell’uomo
(CEDU) pubblicata lo scorso 6 maggio 2025 che ha giudicato un caso relativo alla controversia poste da vari
cittadini se le autorità non abbiano
adottato misure di protezione per ridurre al minimo o eliminare gli effetti
dell'inquinamento asseritamente causato dal proseguimento dell'attività di una
fonderia nei pressi delle loro abitazioni
in un Comune italiano, in violazione
dei loro diritti derivanti dagli articolo 2 (diritto alla vita) e articolo 8
(diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (QUI).
Di seguito esaminerò
il significato della sentenza e le sue conseguenze nel singolo stato membro del
Consiglio di Europa (QUI),
dopodiché illustrerò i passaggi principali della sentenza in modo che chiunque
legga potrà verificare la coerenza tra il significato che do alla sentenza e il
contenuto della stessa.
IL SIGNIFICATO IN
SINTESI DELLA SENTENZA
In sintesi, la sentenza
in questione afferma che, se una Autorità Nazionale, pur prendendo
provvedimenti di potenziale limitazione dell’inquinamento di un impianto
pericoloso per la salute, constata che permangono disagi ai residenti per le
emissioni di detto impianto e questi disagi producono inquinamento nelle
persone confermato da indagini sanitarie e nonostante ciò non fa nulla per
risolvere detti disagi ma anzi autorizza nuovamente l’impianto, detta Autorità
produce un danno al diritto alla vita e al rispetto della qualità della propria
vita quotidiana e familiare. Danno risarcibile a carico dello stato membro di
cui fa parte l’Autorità competente ad autorizzare ma anche controllare
l’attività inquinante.
Interessante anche
il passaggio della sentenza dove si afferma il principio per cui se un autorità
nazionale delibera una destinazione residenziale di un’area in cui è presente o
sono presenti attività inquinanti (di
natura insalubre secondo la dizione del diritto italiano) devono predisporre
tutte le misure necessarie per garantire l'effettiva tutela del diritto al rispetto
della vita privata delle persone interessate.
QUALE EFFICACIA DELLA SENTENZA NELLO STATO MEMBRO
Ovviamente le
sentenze della CEDU non possono produrre immediati effetti nel caso specifico
eliminando i fenomeni inquinanti, in quanto questo spetta allo Stato Membro.
Però la CEDU può indicare misure allo stato membro per risolvere il problema
non solo ma soprattutto il Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa può
vigilare sulla attuazione dei mezzi con cui adempiere all’obbligo dello Stato
membro di porre i ricorrenti, per quanto possibile, nella situazione in cui si
sarebbero trovati se non fossero stati violati i requisiti della Convenzione, a
condizione che tali mezzi siano compatibili con le conclusioni esposte nella
sentenza della Corte
I FATTI ALLA BASE DEL RICORSO ALLA CEDU
L’area con la
presenza dell’impianto in questione dopo l’approvazione del piano urbanistico
comunale nel 2006 era stata trasformata anche in residenziale senza avviare un
percorso di trasferimento dello stesso nonostante i ricorrenti siano residenti
entro una fascia ristretta non superiore ai 6 km di distanza dal sito della
fonderia.
L'impatto delle emissioni dell'impianto sulla salute della popolazione locale è stato oggetto di uno studio epidemiologico (Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile – di seguito "studio SPES" o "studio epidemiologico") effettuato nel territorio della Regione Campania da autorità sanitarie locali e nazionali (tra cui l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Italia Meridionale, l'Istituto Nazionale per la Ricerca e la Cura del Cancro "G. Pascale" e l'Istituto Superiore di Sanità).
L'analisi
(pubblicata dalla Regione Campania nel 2021) dei metalli pesanti nei campioni
di siero prelevati da volontari nei cluster (insieme di residenti interessati dall'impatto) della zona dove è collocato l'impianto ha rivelato
che i loro livelli medi di mercurio erano circa cinque volte superiori a quelli
dell'intera popolazione valutata. I cluster sono stati anche
associati a livelli più elevati di altri metalli pesanti, tra cui litio,
cadmio, arsenico, cromo, antimonio e zinco, e a "una significatività
statistica costante" di composti organici, vale a dire diossine e furani,
DL-PCB (policlorobifenili diossina-simili) e NDL-PCB (policlorobifenili non
diossina-simili).
LA VICENDA AMMINISTRATIVA E GIUDIZIARIA NAZIONALE OGGETTO DELLA SENTENZA
Negli anni sono state rilevate gravi violazioni delle prescrizioni stabilite nell’AIA rilasciata all’impianto che hanno portato a contenziosi di fronte alla giustizia amministrative e penale nonché a provvedimenti delle autorità competenti.
Le sentenze della giustizia amministrativa nazionale
L’attività è stata
sospesa alla luce di tali violazioni ma poi nuovamente autorizzata e poi andare
a Valutazione di Impatto Ambientale. Il contenzioso davanti al Tar competente
territorialmente aveva prodotto, tra le altre, queste conclusioni con sentenza
n°2254 del2019:
1. Quanto al fatto che, dopo la realizzazione dello
stabilimento, l'area circostante fosse stata aperta allo sviluppo residenziale,
il TAR ha ammesso che era "abbastanza sorprendente" ("stupisca
non poco") che "in un sistema giuridico moderno e complesso [che
prevedeva] diversi strumenti giuridici per conciliare gli interessi
contrapposti della proprietà produttiva e per perseguire lo sviluppo ordinato e
armonico del territorio" l'urbanizzazione di un'area industriale avrebbe
potuto effettivamente essere gestita diversamente.
2. Il TAR ha ribadito, tuttavia, che la delocalizzazione
dell'impianto non poteva essere imposta alla società, in quanto la cosiddetta
"opzione zero" (ossia la decisione di non attuare un progetto) era
disponibile solo per la valutazione dei nuovi impianti da parte delle autorità
amministrative. Ha aggiunto che, di conseguenza, un parere negativo sulla
valutazione di compatibilità ambientale potrebbe essere legittimo solo se
"proponeva, in modo chiaro, le soluzioni più idonee ad armonizzare
l'impianto esistente con l'ambiente circostante". Per queste ragioni, il
TAR ha annullato il parere negativo sull'impatto ambientale del secondo
progetto di ammodernamento dell’impianto presentato dal gestore.
I residenti hanno appellato la sentenza del TAR e il Consiglio di Stato (sentenza n°9166 del 2022) l'ha confermata, affermando che i risultati dello studio epidemiologico non avevano dimostrato una correlazione diretta tra le emissioni della fonderia con i valori di inquinanti riscontrati nella popolazione interessata.
Problematiche emissive e ordinanza della Regione Campania successiva alla sentenza del Consiglio di Stato
In una relazione del 18 luglio 2022 l'ARPAC ha precisato che, a seguito di numerose denunce da parte dei residenti, le ispezioni effettuate nel 1° luglio 2022 hanno confermato la presenza di emissioni fuggitive maleodoranti e di fumi provenienti dall'area di carico del forno e visibili dall'autostrada, dimostrando che le BAT non erano state rispettate e che erano necessarie nuove misure organizzative per migliorare le prestazioni ambientali.
Il 20 luglio 2022 la Regione Campania ha ordinato alla
società di porre rimedio alle carenze individuate nella relazione ARPAC del
18 luglio 2022 entro trenta giorni.
A seguito dell'ordinanza del 20 luglio 2022, i
residenti e Salute e Vita hanno continuato a segnalare alle autorità nazionali
le emissioni e i fumi maleodoranti provenienti dall'impianto, sostenendo che
questi causavano bruciore agli occhi e alla gola della popolazione locale.
Inchieste penali.
Si sono concluse con una richiesta di archiviazione in
quanto dalle perizie prodotte la Procura non avrebbero dimostrato il nesso
causale tra emissioni anomale e responsabilità della azienda.
L’associazione dei residenti si è opposta alla richiesta
della archiviazione ma
IL CONTENUTO DELLA SENTENZA
Ammissibilità del ricorso dei ricorrenti ex articoli 2 e 8 della Convenzione
La CEDU ribadisce
che l'articolo 2 della Convenzione non riguarda solo i decessi derivanti dall'uso della
forza da parte di agenti dello Stato, ma stabilisce anche, nella prima frase
del suo primo comma, un obbligo positivo per gli Stati di adottare misure
appropriate per salvaguardare la vita di coloro che si trovano sotto la loro
giurisdizione. Tale obbligo deve essere interpretato nel senso che si applica
nel contesto di qualsiasi attività, pubblica o meno, in cui può essere in gioco
il diritto alla vita, comprese le attività industriali, che possono
rappresentare un rischio per la vita umana a causa della loro natura
intrinsecamente pericolosa
La Corte ritiene che
la forte combinazione di prove indirette e presunzioni consenta di concludere
che l'esposizione all'inquinamento ha reso i ricorrenti che vivono entro sei
chilometri dall'impianto più vulnerabili a varie malattie. Inoltre, non c'è dubbio
che ciò abbia influito negativamente sulla loro qualità di vita. La Corte
ammette quindi che l'ingerenza nella loro vita privata ha raggiunto un livello
di gravità sufficiente per farli rientrare nell'ambito di applicazione
dell'articolo 8 della Convenzione.
Relativamente alla contestazione del Governo italiano sul presunto non esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali da parte dei residenti
La CEDU ribadisce che, nell'odierna società civile, le
associazioni svolgono un ruolo importante, in particolare nel campo della
protezione dell'ambiente, e che il ricorso a strutture collettive come le
associazioni è talvolta l'unico mezzo a disposizione dei singoli per difendere
efficacemente le loro cause. Ciò vale in particolare per il settore ambientale,
in cui le persone possono trovarsi di fronte a questioni complesse che non sono
in grado di risolvere da sole.
Secondo il Governo, i ricorrenti avrebbero potuto anche
chiedere protezione contro l'inquinamento ambientale dinanzi ai giudici penali.
La Corte ribadisce che, nel caso in cui esistano più rimedi che un individuo
può perseguire, tale persona ha il diritto di scegliere, al fine di soddisfare
il requisito dell'esaurimento dei rimedi interni, un rimedio che affronti il
suo reclamo essenziale. In tali circostanze, la Corte non può contestare ai
ricorrenti di non aver atteso la conclusione di tutti i procedimenti penali
prima di presentarle le loro denunce di violazione dell'articolo 8 della
Convenzione.
Ne consegue che le obiezioni preliminari del governo
relative al mancato esaurimento dei mezzi di ricorso interni e al rispetto
della regola dei sei mesi devono essere respinte.
Sul merito dei motivi dei ricorrenti sulle inadeguate
misure predisposte dalle autorità nazionali per la tutela della salute dei
residenti dalle emissioni della fonderia.
La Corte constata
che, dopo aver autorizzato lo sviluppo residenziale dell'area circostante la
fonderia, le autorità nazionali non hanno adottato tutte le misure necessarie
per garantire l'effettiva tutela del diritto al rispetto della vita privata
delle persone interessate, almeno per il periodo compreso tra il 2008 e il
2016.
In particolare: la Corte rileva come anche dopo il 2016, le misure predisposte dalla Regione Campania (riportate in precedenza nel presente commento), nell'autorizzare la prosecuzione dell'attività dell'impianto e nel fissare nuovi requisiti ambientali e attività di controllo che l'impresa deve rispettare, non hanno attribuito alcun peso al fatto che la popolazione locale era già stata esposta a effetti nocivi significativi derivanti da un'esposizione prolungata all'inquinamento. Effetti nocivi dimostrati dai livelli più elevati di metalli pesanti e composti organici nei loro corpi, nonché tassi di morbilità più elevati per malattie cardiovascolari, respiratorie e neurologiche, riscontrati dallo studio epidemiologico. A questo si aggiungono i dati di biomonitoraggio che hanno rivelato che i livelli medi di mercurio nel siero dei volontari provenienti dai cluster (entro i 3 km dall’impianto) erano circa cinque volte superiori a quelli dell'intera popolazione valutata. Orbene, secondo la relazione dell'ARPAC del 7 agosto 2020, né il PMeC né la BAT descritti nell'AIA del 2012 imponevano che le emissioni dell'impianto fossero verificate rispetto a tale parametro.
La CEDU critica
anche la affermazione contenuta nella citata sentenza del Consiglio di Stato per cui risultati della indagine
epidemiologia e biomonitoraggio non sono attribuibili specificamente
all'esercizio dell'impianto. La CEDU sottolinea una volta confermato i dati dei
pesanti inquinamenti per i residenti nelle zone limitrofe alla fonderia (da 3 a
6 km) le autorità nazionali non forniscono alcuna spiegazione sulle responsabilità
alternative alla fonderia sui dati suddetti. Da questa mancanza la CEDU deduce
che gli effetti dell'esposizione della popolazione all'inquinamento ambientale
ivi indicati derivavano, almeno in una certa misura, dall'attività della
fonderia.
La CEDU rileva
inoltre che una maggiore vulnerabilità alle malattie a causa dell'esposizione
all'inquinamento era un fattore pertinente di cui le autorità nazionali
avrebbero dovuto tener conto nel ponderare le conseguenze del funzionamento
dell'impianto con la salute e la qualità della vita delle ricorrenti. La
Corte non è quindi convinta che, al riguardo, il Governo abbia tenuto in
adeguata considerazione tutti gli interessi in competizione nell'affrontare il
problema delle emissioni inquinanti dell'impianto.
Soprattutto la CEDU
sottolinea che i provvedimenti adottati dalle autorità nazionali (Regione
Campania in primis) le emissioni anomale hanno continuato ad essere denunciate
dai residenti tanto che l’Arpa competente ha segnalato la presenza di emissioni
originate dal processo produttivo che avevano completamente bypassato le
attività di filtraggio e monitoraggio.
Nonostante ciò,
secondo i giudici amministrativi ma soprattutto quelli penali, l'esistenza di
problemi ambientali che interessavano la popolazione locale, non era
necessariamente legata a carenze tecniche specifiche, ma era trattata più come
un evento potenzialmente ordinario, tenuto conto dell'età dell'impianto e
dell'ubicazione attuale in una zona densamente popolata. Addirittura, il
Governo italiano, nel rispondere alla CEDU in vista della sentenza qui
esaminata, ha espresso l'opinione che le lamentele dei residenti fossero state
"fisiologiche, dato che l'impianto [era] situato in un'area urbanizzata e
densamente popolata, con tutto ciò che ciò comporta[va] in termini di livelli
inferiori di qualità dell'aria".
Rispetto a queste
affermazioni la CEDU osserva che il fatto che l'ARPAC ha fatto riferimento
all'età dell'impianto come fattore che incide sulle sue prestazioni ambientali
è in contrasto con l'obiettivo principale della decisione della Regione di
imporre alla fonderia di essere sottoposta a un ammodernamento sostanziale,
comprese modifiche strutturali sostanziali.
Alla luce di quanto
sopra la CEDU non è convinta che, anche dopo l'emanazione del decreto
n. 85/2020 (AIA che ha protratto il funzionamento della fonderia per altri
12 anni), sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra, da un lato, l'interesse dei ricorrenti
a non subire gravi danni ambientali che potrebbero incidere sulla loro vita
privata e, dall'altro, l'interesse della società nel suo complesso.
In conclusione, la Corte constata che, nonostante il margine
di discrezionalità lasciato allo Stato convenuto, le autorità sono venute
meno al loro obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie per
garantire l'effettiva tutela del diritto dei ricorrenti al rispetto della loro
vita privata. Vi è stata quindi una violazione dell'articolo 8 della
Convenzione.
Risarcimento del danno prodotto ai residenti ricorrenti
L'articolo 41 della Convenzione prevede quanto
segue: "Se la Corte constata che vi è stata una violazione della
Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte
contraente interessata consente solo una riparazione parziale, la Corte, se
necessario, accorda la giusta soddisfazione alla parte lesa".
Nelle circostanze
del caso di specie, la Corte ritiene che la violazione della Convenzione da
essa accertata costituisca un sufficiente equo soddisfacimento per qualsiasi
danno morale.
La CEDU precisa che
secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente ha diritto al rimborso
delle spese e dei costi solo nella misura in cui sia stato dimostrato che tali
spese sono state effettivamente e necessariamente sostenute e sono ragionevoli quanto
al loro quantitativo. Nel caso di specie, tenuto conto dei documenti in suo
possesso e dei criteri sopra indicati, la Corte accoglie la domanda di rimborso
delle spese e delle spese sostenute nel procedimento interno per un importo di
EUR 1.700. Ritiene inoltre ragionevole concedere la somma di
EUR 7.000 per il procedimento dinanzi alla Corte, oltre alle eventuali
imposte che potrebbero essere addebitate ai ricorrenti. Tali importi devono
essere versati direttamente sul conto bancario del rappresentante dei
richiedenti.
La CEDU così conclude sul punto:
a) che lo Stato convenuto paghi ai richiedenti,
congiuntamente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza diventa definitiva
ai sensi dell'articolo 44, paragrafo 2, della Convenzione:
(i) euro 1.700 (millesettecento euro), oltre alle eventuali
imposte a loro carico, a titolo di spese e spese sostenute dinanzi ai tribunali
nazionali, da versare direttamente sul conto bancario del rappresentante legale
dei ricorrenti;
(ii) euro 7.000 (settemila euro), oltre all'eventuale
imposta a carico dei ricorrenti, a titolo di spese e spese sostenute dinanzi al
Tribunale, da versare direttamente sul conto corrente bancario del legale
rappresentante dei ricorrenti;
b) che dalla scadenza dei suddetti tre mesi fino al
regolamento siano dovuti sul suddetto importo gli interessi semplici a un tasso
pari al tasso di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea durante
il periodo di default, maggiorato di tre punti percentuali.
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