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mercoledì 5 aprile 2023

La Corte Costituzionale su pianificazione siti impianti rinnovabili e moratorie dei singoli progetti

La Corte Costituzionale con sentenza n° 27 del 23 febbraio 2023 (QUI) ha giudicato la legittimità costituzionale di una norma regionale che prorogava la approvazione del piano regionale per la definizione delle aree per realizzare impianti da fonti rinnovabili, di fatto spostando temporalmente anche la sospensione delle autorizzazioni ai singoli progetti.


La Corte Costituzionale dichiara la norma regionale incostituzionale (peraltro confermando la sentenza n° 77 del 2022 QUI) per le seguenti ragioni di fondo:

1. La moratoria sui singoli progetti in attesa della pianificazione viola i principi delle direttive UE in materia di fonti rinnovabili che affermano la necessità che le norme nazionali “siano proporzionate e necessarie” e che “siano razionalizzate e accelerate al livello amministrativo adeguato e siano fissati termini prevedibili

2. la moratoria viola il divieto della normativa nazionale di imporre moratorie ai singoli progetti con la scusa che manca la pianificazione per l’individuazione delle aree idonee

3. le Regioni non possono delegare i Comuni nella individuazione delle aree idonee ad installare impianti da fonti rinnovabili.

4. le Regioni non possono porre aprioristicamente limiti alle autorizzazioni degli impianti da fonti rinnovabili ma devono valutare ogni singolo progetto specificamente.

In questo modo, conclude la nuova sentenza della Corte Costituzionale, sono stati violati dell’articolo 117 della Costituzione: i commi 1 (rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) e 3 (legislazione concorrente tra Stato e Regioni rispetto da parte delle Regioni dei principi fondamentali della legislazione statale).

Riassumo di seguito le motivazioni della Corte Costituzionale nella sentenza 27/2023

 

 

IL QUADRO NORMATIVO IN MATERIA DI PIANIFICAZIONE DELLE LOCALIZZAZIONI DEGLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

La Corte nella sua sentenza ricorda il quadro normativo nazionale che sottende alla disciplina regionale contestata:

1. comma 6 articolo 20 del DLgs 199/2021 (QUI) recita: “nelle more dell’individuazione delle aree idonee, non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione”.

2. comma 7 articolo 20 DLgs 199/2021 chiarisce che “le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee”.

3. In raccordo con l’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, l’art. 18, comma 3, del medesimo decreto legislativo stabilisce che, solo: “a seguito dell’entrata in vigore della disciplina statale e regionale per l’individuazione di superfici e aree idonee ai sensi dell’art. 20, con decreto del Ministero della transizione ecologica, di concerto con il Ministero della cultura, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono aggiornate le linee guida per l’autorizzazione degli impianti a fonti rinnovabili di cui all’articolo 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387”. Il citato iter non è stato al momento completato e le linee guida emanate con il Decreto Ministeriale 10 settembre 2010 (QUI) non sono state ancora aggiornate.

4. il comma 2 dell’art. 18 del d.lgs. n. 199 del 2021, indica gli articoli che regolano i “regimi di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio degli impianti a fonti rinnovabili”, deputando a regolare l’autorizzazione unica l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 (QUI) che a sua volta rimanda all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 (QUI) come modificato dallo stesso art. 5.




REALIZZARE PROCEDURE DI AUTORIZZAZIONE IN TERMINI PREVEDIBILI PER GLI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Non solo ma la norma regionale contestata appare in contrasto anche con l’art. 15, paragrafo 1, della Direttiva 2018/2001/UE (QUI) secondo il quale gli Stati membri devono assicurare che le norme nazionali in materia di procedure autorizzative “siano proporzionate e necessarie” e che “siano razionalizzate e accelerate al livello amministrativo adeguato e siano fissati termini prevedibili” (paragrafo 1, lettera a). Analoghe esigenze erano, del resto, già affermate dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2001/77/CE, modificata dalla Direttiva 2009/28/CE, il cui art. 13, paragrafo 1, lettera c), ha ribadito la necessità che le “procedure amministrative siano semplificate e accelerate” (entrambe le direttive suddette del 2001 e del 2009 sono state abrogate dalla Direttiva 2018/2001/UE).

Di conseguenza, la nuova norma regionale impugnata, nel prorogare un meccanismo di moratoria delle procedure di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, vìola i citati impegni assunti dallo Stato italiano nei confronti dell’Unione europea e a livello internazionale.

 

 

INCOSTITUZIONALITÀ DELLA ASSEGNAZIONE AI COMUNI NELLA INDIVIDUAZIONE DEI SITI PER IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Inoltre la norma regionale è incostituzionale anche relativamente all’assegnazione delle competenze di individuare i siti degli impianti da parte dei Comuni.

Tanto l’art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003 (secondo cui in “attuazione delle linee guida, le regioni possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti”), quanto il punto 17.1 delle linee guida ministeriali del 2010 assegnano alle regioni (e alle province autonome) – e non ai comuni – il compito di individuare le aree non idonee “attraverso un’apposita istruttoria”, i cui esiti devono contenere per “ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate”. In particolare, spetta alle regioni e alle province autonome – secondo il punto 17.2 delle linee guida ministeriali del 2010 – conciliare “le politiche di tutela dell’ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili attraverso atti di programmazione congruenti con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili loro assegnata (burden sharing)”.

La disciplina appena evocata disvela in maniera cristallina che, fermo restando il possibile coinvolgimento dei comuni nella definizione dell’atto di programmazione, la regione non può per legge demandare a essi un compito che le è stato assegnato dai principi statali al fine di garantire, nell’ambito dei singoli territori regionali, il delicato contemperamento dei vari interessi implicati e il rispetto dei vincoli imposti alle regioni (e analogamente alle province autonome) per il raggiungimento della quota minima di incremento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

 

 

DIVIETO DI PRECLUSIONI A PRIORI NELLA AUTORIZZAZIONE DI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI

Ancora la norma regionale sopra citata quando afferma che “decorso il termine previsto dal comma 1, non possono essere posti limiti ulteriori alla facoltà autorizzatoria della Regione in materia”, secondo la sentenza della Corte Costituzionale lascia inferire che l’individuazione delle aree e dei siti non idonei si traduce nella previsione di un limite alla facoltà di autorizzazione, laddove – nella prospettiva statale – serve, viceversa, solo a segnalare, a fini acceleratori e di semplificazione, un probabile esito negativo della procedura autorizzativa.

Anche di recente, ricorda la sentenza qui esaminata, la Corte ha ribadito che l’atto di pianificazione opera una «valutazione di “primo livello”», “con finalità acceleratorie” (sentenza n. 77 del 2022; nello stesso senso, sentenze n. 11 del 2022 (QUI) e n. 177 del 2021 QUI), ma non può «creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa (sentenze n. 106 del 2020 QUI e n. 286 del 2019 QUI)” (sentenza n. 216 del 2022 QUI).









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