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martedì 23 aprile 2019

Corte di Giustizia UE: la Regione Liguria non poteva chiedere autonomia nella cessazione dalla qualifica di rifiuto


Come è noto, ne ho già trattato in altri post (QUI), la Regione Liguria ha approvato una delibera di indirizzo per chiedere maggiori poteri in materia ambientale. In particolare una delle richieste più discutibili è quella di avere la possibilità di  definire propri criteri per stabilire la cessazione di qualifica di rifiuto dopo trattamenti.  Ora sul punto interviene indirettamente anche la Corte di Giustizia della UE (sentenza del 28/3/2019 causa C-60-18,  QUI)come spiego nel post che segue
 

GIURISPRUDENZA E NORMATIVA NAZIONALE SU COMPETENZA A STABILIRE CRITERI NAZIONALI SULLA CESSAZIONE DALLA QUALIFICA DI RIFIUTO
Sul punto,  come spiego più approfonditamente nei post precedenti (QUI), è intervenuto recentemente  il Consiglio di Stato con sentenza n° 1229 del 2018 secondo la quale  le Regioni non possono autonomamente fissare criteri per far cessare la qualifica di rifiuto attraverso singole procedure autorizzatorie. 

Il Consiglio di Stato non ha fatto altro che applicare quanto previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo 184-ter del DLgs 152/2006 che recitano: “1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:
a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
2. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette  condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’ articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.




LA NUOVA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
La sentenza deriva da un quesito posto dalla autorità giudiziaria dello Stato membro. Il quesito rivolto alla Corte europea riguardava la possibilità di ottenere, caso per caso, in assenza di un atto comunitario e di un regolamento ministeriale, una dichiarazione di fine-rifiuto dalla parte della Agenzia per l’ambiente nazionale applicando direttamente l’art. 6, comma 4 della direttiva sui rifiuti 2008/98, secondo il quale “se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile.
La Corte di Giustizia UE pronunciandosi sul quesito ha così statuito:
1.L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 non osta quindi ad una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto stabiliti a livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di rifiuti, detta cessazione dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale.”
2. l’art. 6, comma 4 della direttiva comunitaria non consente al detentore di un rifiuto “di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro ” 
Aggiunge inoltre la Corte di Giustizia:  risulta dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 che gli Stati membri possono prevedere la possibilità di decisioni relative a casi individuali, in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori della sostanza o dell’oggetto qualificati come « rifiuti », ma possono anche adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o di un determinato tipo di rifiuti. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, l’obbligo, contenuto in tale disposizione, di notificare siffatte misure alla Commissione allorché la direttiva 98/34, come modificata dalla direttiva 98/48, lo richiede riguarda i progetti di regola tecnica e non le decisioni individuali 

La Corte quindi fa esplicito riferimento alla possibilità di criteri nazionali di esclusione dalla definizione di rifiuto solo con un “atto giuridico nazionale”.
La Corte esclude un potere decisionale sulla esclusione dalla definizione di rifiuto da parte di una autorità competente alla gestione dei rifiuti (in Italia Regioni e Province) come pure da parte di un giudice nazionale.
La Corte aggiunge che si possa derogare a tali divieti con provvedimenti (regole tecniche)  anche per casi singoli. Ma questo dipende dalla legislazione nazionale.


CONCLUSIONI
Quindi allo stato attuale, tornando al caso della Regione Liguria, la Giunta Toti non poteva chiedere autonomamente un potere di decisione sulla cessazione da rifiuto di determinati rifiuti dopo trattamento, perché questo è in palese contrasto come abbiamo visto sopra:
1. con la legge nazionale vigente : articolo 184-ter del DLgs 152/2006
2. con la giurisprudenza nazionale: sentenza del Consiglio di Stato n° 1229 del 2018
3. con gli indirizzi della Corte di Giustizia: vedi sentenza sopra riportata


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