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martedì 8 gennaio 2019

La Percezione sociale del rischio ambientale nei documenti ufficiali ma non nelle vertenze territoriali


Quante volte comitati, associazioni ambientaliste e singoli cittadini che su territori si battono per difendere ambiente e salute contro attività palesemente inquinanti si sono sentiti apostrofare da burocrati degli enti  pubblici come pure da amministratori (assessori , sindaci etc.) come
 demagoghi incompetenti”,
produttori  di  allarmismo sociale gratuito”.
delegittimatori della scienza ufficiale  etc. etc.
 
Questo accade nei processi decisionali reali e ne trovo riscontro in numerose vertenze che seguo nei territori in giro per l’Italia da ormai oltre 20 anni.

Tutta questa delegittimazione del conflitto ambientale poi non la ritrovi in certi documenti ufficiali di livello nazionale. Credo che la ragione di tutto ciò sia chiara: gli interessi forti che stanno dietro la "cultura sviluppista" sono più forti di qualsiasi elaborazione culturale, e soprattutto quando si va nel concreto delle scelte i bei discorsi lasciano il campo ad sistema di costruzione dei processi decisionali che dei territori se ne fotte altamente.

Un esempio concreto della contraddizione tra enunciazioni teoriche e concreta decisione dei processi decisionali è un Documento prodotto dal sistema agenziale, pochi mesi fa (nel 2018), con il supporto del Ministero della Salute e pubblicato nei quaderni dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l´ambiente e l´energia dell´Emilia-Romagna (Arpae).
Il documento si intitola “Documento guida di comunicazione del rischio ambientale”.
Un documento molto interessante che pone al centro dei processi decisionali quello che viene definita la percezione sociale del rischio. Percezione che cerca di rispondere alla: “palese inefficacia dei modelli di gestione del rischio fondati su mere valutazioni tecnico scientifiche e su calcoli costi benefici” (pagina 19 del Documento in questione).

Nella presentazione del quaderno  (vedi QUI) si afferma quanto segue: “se da un lato l’Europa richiede decisioni pubbliche fondate sulle evidenze scientifiche, dall’altro è necessario, quando si parla di rischi per la salute, tenere in debito conto anche la loro percezione e quindi utilizzare conoscenze sviluppate nei campi della sociologia, antropologia, psicologia, nonché prodotte dalla comunità. Il rischio è infatti un fenomeno costantemente costruito e negoziato in quanto elemento di una rete di interazione sociale e di produzione di senso sia nel contesto scientifico sia al suo esterno. Un fattore chiave da considerare nell’analisi della percezione del rischio è l’outrage, il senso di oltraggio e indignazione provocato dal rischio, strettamente collegato alla fiducia nelle persone/enti di controllo e alla familiarità del contesto.”

Leggo le parole sopra riportate (il Documento completo vi invito a leggerlo QUI)  e poi penso alle vertenze che sto seguendo ad esempio a Borgo Val di Taro per l’impianto LaminaM, alla situazione dell’inquinamento dei porti di Genova e Spezia, alla situazione dei depositi petroli di Multedo a Genova, agli impianti rifiuti di Saliceti (Vezzano Ligure) , in località Cerri di Follo, all’impianto in località Volpara a Genova  etc etc…,  e mi viene spontanea la domanda: ma questi documenti i burocrati che gestiscono le istruttorie e gli amministratori pubblici che le concludono, li leggono? Ma soprattutto la vera domanda, arrivati a questo punto, è  questi documenti a cosa servono? A cosa servono anche i casi studio allegati al Documento se poi restano appunto “casi studio”.  

Io dico che potrebbero servire solo ad una condizione che vengano usati per aprire una vertenza all’interno delle istituzioni pubbliche sia quelle di controllo che quelle di autorizzazione per cambiarne alla radice la cultura di governo dei processi decisionali ambientali. Ma qui andiamo nel politico e come dire qui “casca l’asino”! 

Ma non ci fermiamo di fronte a tutto ciò!  

Documenti come quello che ho citato in questo post dimostrano che dentro il sistema di potere ci sono delle brecce vediamo di allargarle sempre di più ne va del futuro dei nostri territori che come dimostrano le vicende dei progetti del Terzo Valico e della TAV e mille altri in giro per l’Italia  sono sotto attacco da anni .  
Perché siamo stufi di dover subire  decisione definite strategiche in separate stanze lontane dai cittadini e dalle loro percezioni del rischio sanitario e ambientale.

Il tempo dei convegni e dei documenti teorici è finito ora dobbiamo mettere al centro delle decisioni i territori  perché non vogliamo più un Paese di “SI preventivi” e di “NO postumi”!


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