Siamo di fronte ad un vero e proprio scudo penale per gli
inquinatori, pensato per l’Ilva di Taranto, ma ora legge generale dello stato
italiano quindi applicabile ad altri casi.
Di seguito prima una sintesi della nuova normativa e poi il post
continua approfondendola specificamente.
SINTESI DELLA
NUOVA NORMATIVA
Relativamente a stabilimenti industriali dichiarati di interesse
strategico nazionale secondo la legge 231/2012 (QUI) la cui
gestione ha realizzato reati anche ambientali da comportare una sanzione di
interdizione della attività, si permette la continuazione dell’attività
affidata ad un commissario nominato come amministratore
straordinario. Il giudice detta le prescrizioni necessarie alla
continuazione della attività tenendo conto dei provvedimenti autorizzativi
delle autorità competenti rilasciati in precedenza. "Tenere
conto" come si sa ha la valenza giuridica che in cucina ha una
padellata di aria fritta!
Insomma il famoso bilanciamento tra interessi di
impresa e tutela di ambiente e salute qui va a farsi benedire in contrasto, come
vedremo nel post integrale che segue questa breve introduzione, con la
stessa giurisprudenza costituzionale ma anche con
l’ultima versione dell’articolo 41 della Costituzione (in
realtà anche con la precedente) che chiaramente afferma come l’iniziativa
economica privata (ma anche pubblica ovviamente) non possa svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute,
all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In questo
articolo non si parla di bilanciamento tra economia e ambiente ma che comunque
qualsiasi attività economica non può recare danno a salute e ambiente.
Infine la nuova normativa introduce due ulteriori
novità sotto il profilo processuale penale:
1. Se chi continua a gestire l’attività di interesse strategico
nazionale sulla base delle prescrizioni del giudice non risponderà comunque degli
eventuali illeciti anche ambientali commessi in questa attività se si è
limitato a rispettare le prescrizioni del giudice
2. Qualsiasi contenzioso contro le decisioni del giudice e/o
del gestore saranno di competenza del tribunale di Roma violando così il
principio costituzionale secondo cui “nessuno
può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge “(articolo
25 Costituzione)
LE MODIFICHE DEL DECRETO LEGGE 2/2023
Condizioni per proseguire attività imprese di interesse
strategico nazionale soggette ad amministrazione straordinaria
L’articolo 15 del DLgs 231/2001 stabilisce le condizioni in base
alle quali, se sussistono i presupposti per l'applicazione di una sanzione
interdittiva che determina l'interruzione dell'attività dell'ente, il giudice,
in luogo dell'applicazione della sanzione, dispone la prosecuzione
dell'attività dell'ente da parte di un commissario per un periodo pari alla
durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata.
L’articolo 5 del Decreto legge 2/2023 introduce
una terza condizione per permettere la prosecuzione dell’attività: se
l'attività é svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di
interesse strategico nazionale ai sensi della legge
231/2012 (QUI), in
caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo
all'applicazione della sanzione sono state ammesse all'amministrazione
straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell'articolo
1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n°187 (QUI), la
prosecuzione dell'attività è affidata al commissario già nominato
nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria.
Esclusione delle sanzioni interdittive della attività di imprese
di interesse strategico nazionale
Ma la modifica più significativa l’articolo del Decreto Legge
2/2023 la apporta all’articolo 17 del DLgs 231/2001, questo ultimo elenca
le condizioni per escludere le sanzioni interdittive della attività di impresa.
L’articolo 5 del Decreto legge 2/2023 vi
aggiunge la seguente condizione con un nuovo comma a detto articolo 17 del DLgs
231/2001: “In ogni caso, le sanzioni interdittive non possono essere
applicate quando pregiudicano la continuità dell'attività svolta in
stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico
nazionale della sopra citata legge 231/2012, se l'ente ha eliminato le carenze
organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione
di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello
verificatosi. Il modello organizzativo si
considera sempre idoneo a prevenire reati della specie di quello
verificatosi quando nell'ambito della procedura di
riconoscimento dell'interesse strategico nazionale sono stati adottati
provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l'adozione di modelli
organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità
dell'attività produttiva e di salvaguardia dell'occupazione e la tutela della
sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell'ambiente e degli altri
eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi.”
Casi in cui la nomina del commissario esclude automaticamente la
sanzione interdittiva della attività
Altra modifica apportata dall’articolo 5 del Decreto
Legge 2/2023 è quella all’articolo 45 del DLgs 231/2001, questo
ultimo prevede che quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza
della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da
reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il
pericolo che vengano commessi illeciti della stessa
indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può
richiedere l'applicazione quale misura cautelare di una delle sanzioni
interdittive previste dall'articolo 9, comma 2 ([1]),
presentando
al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi
quelli a favore dell'ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già
depositate.
L’articolo 5 del Decreto Legge 2/2023 aggiunge all’articolo
45 del DLgs 231/2001 sopra riportato il seguente periodo la nomina
del commissario di cui al primo periodo é sempre disposta, in luogo
dell'applicazione cautelare della misura interdittiva, quando la misura possa
pregiudicare la continuità dell'attività svolta in stabilimenti
industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale.
Casi in cui con sequestro preventivo l’attività di imprese di
interesse strategico nazionale prosegue su provvedimento del giudice che
definisce le prescrizioni per continuare l’attività
Altra modifica apportata dal Decreto Legge 2/2023 è quella all’articolo
53 del DLgs 231/2001 relativo al caso di sequestro preventivo.
L’articolo 5 del Decreto Legge 2/2023 introduce
un nuovo comma a detto articolo 53 secondo il quale quando
il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali che siano stati
dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo
1 della legge 231/2012 o loro parti, ovvero impianti o
infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applicano
le seguenti norme delle disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale
di cui all’articolo 104-bis DLgs 271/1989 (QUI),
norme introdotte dal successivo articolo 6 del Decreto Legge 2/2023:
1. Nuovo comma 1-bis.1 dell’articolo 104-bis
CPP: Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti
di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, ovvero impianti o
infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice
dispone la prosecuzione dell'attività avvalendosi di un amministratore
giudiziario nominato dalla autorità giudiziaria. In caso di imprese che dopo il
verificarsi dei reati che danno luogo all'applicazione del provvedimento di
sequestro sono state ammesse all'amministrazione straordinaria, anche in via
temporanea ai sensi dell'articolo 1 Decreto Legge 187/2022 (QUI), la prosecuzione
dell'attività è affidata al commissario già nominato nell'ambito della
procedura di amministrazione straordinaria.
Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra
le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di salvaguardia
dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute,
dell'ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti
commessi, giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche
conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle
competenti autorità.
Le disposizioni di cui sopra non si applicano quando dalla
prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o
l'incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non
evitabile con alcuna prescrizione.
Il giudice autorizza la prosecuzione dell'attività se, nell'ambito
della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico nazionale,
sono state adottate misure con le quali si é ritenuto realizzabile il
bilanciamento tra le esigenze di continuità dell'attività produttiva e di
salvaguardia dell'occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di
lavoro, della salute e dell'ambiente e degli altri eventuali beni
giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso il provvedimento di cui
ai periodi precedenti, anche se negativo, é trasmesso, entro il
termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri,
al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero
dell'ambiente e della sicurezza energetica.
2. Nuovo comma 1-bis.2 articolo 104-bis CPP: Nei
casi disciplinati dal comma 1-bis.1, il provvedimento con cui il giudice
abbia escluso o revocato l'autorizzazione alla prosecuzione, o negato la stessa
in sede di istanza di revoca, modifica o rivalutazione del
sequestro precedentemente disposto, nonostante le misure adottate
nell'ambito della procedura di riconoscimento dell'interesse strategico
nazionale, può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell'articolo
322-bis del codice (QUI), anche
da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle
imprese e del made in Italy o del Ministero dell'ambiente e della sicurezza
energetica. Sull'appello avverso il provvedimento di cui al primo periodo
decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma.
Infine, per concludere con i regali legali alle
imprese dichiarate di interesse strategico nazionale, l’articolo
7 del Decreto Legge 2/2023 recita: "Chiunque agisca al
fine di dare esecuzione ad un provvedimento che autorizza la
prosecuzione dell'attività di uno stabilimento industriale o
parte di esso dichiarato di interesse strategico nazionale non é
punibile per i fatti che derivano dal rispetto delle prescrizioni
dettate dal provvedimento dirette a tutelare i beni giuridici
protetti dalle norme incriminatrici, se ha agito in conformità alle
medesime prescrizioni", e se emergessero altre violazioni? E se le
prescrizioni fossero sbagliate o si rivelassero insufficienti?
ANALISI CRITICA DELLA NUOVA NORMATIVA DEL DECRETO LEGGE 2/2023
Il modello semplificatorio e derogatorio dell’AIA nella
normativa precedente al Decreto Legge 2/2023
Questo Decreto legge si inserisce nel solco già aperto nel 2012
con la legge 231/2012 con la quale partendo dalla
vicenda dell’Ilva di Taranto si produce un modello di gestione speciale
dell’AIA a tutte le infrastrutture definite strategiche dal Governo. Già in quella
legge del 2012 emerge la contraddizione tra le finalità della disciplina
dell’AIA e le condizioni dettate dal decreto che con le suddette finalità non
hanno nulla a che fare prestandosi ad una discrezionalità assolutamente
discutibile da parte del Governo nell'aggirare, le parti più innovative della
suddetta disciplina nonchè degli eventuali provvedimenti della magistratura
contro le violazioni di legge e a tutela di salute e ambiente. Ho spiegato le
criticità della legge del 2012 nel mio blog QUI,
modello poi reiterato nel 2015 vedi QUI.
Il Decreto legge 2/2023 si pone in contrasto con la nuova
versione dell’articolo 41 della Costituzione
Il nuovo Decreto Legge negli articoli sopra descritti rafforza,
peggiorandolo, l’indirizzo del 2012 non a caso citato nel nuovo Decreto Legge.
In particolare, le norme del Decreto Legge 2/2023 si pongono prima
di tutto in contrasto con la nuova versione dell’articolo 41 della Costituzione
visto che si afferma l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto
con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente,
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In questo articolo non si
parla di bilanciamento tra economia e ambiente ma che comunque qualsiasi
attività economica non può recare danno a salute e ambiente.
Il Decreto legge 2/2023 si pone in contrasto con la
giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di bilanciamento di
interessi economici con quelli ambientali e di salute pubblica
In particolare, la Corte Costituzionale con
sentenza n° 58 del 28/3/2018 (QUI) aveva
dichiarato la incostituzionalità dell’articolo 3 del decreto-legge 4
luglio 2015, n. 92 (Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione
integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività d’impresa di
stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale). Secondo detto
articolo 3 “l’esercizio dell’attività di impresa degli stabilimenti di
interesse strategico nazionale non è impedito dal provvedimento di sequestro
[…] quando lo stesso di riferisca ad ipotesi di reato inerenti alla sicurezza
dei lavoratori” (art. 3, comma 1). Detto articolo 3 è stato adottato al
dichiarato fine di “garantire il necessario bilanciamento tra le esigenze di
continuità dell'attività produttiva, di salvaguardia dell'occupazione, della
sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell'ambiente salubre, nonché
delle finalità di giustizia” (art. 3, comma 1) e intendeva porsi in linea
di continuità con la precedente normativa in materia di esercizio dell’attività
di impresa in stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale,
contenuta nel decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 (Disposizioni
urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in
caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012,
n. 231.
La Corte Costituzionale con precedente sentenza n° 85 del 2013 (QUI) aveva
dichiarato la legittimità costituzionale della legge 231/2012 ritenendo che il
legislatore avesse effettuato un ragionevole e proporzionato bilanciamento
predisponendo la disciplina di cui al citato art. 1, comma 4, del decreto-legge
n. 207 del 2012. In quella ipotesi, infatti, la prosecuzione dell’attività
d’impresa era condizionata all’osservanza di specifici limiti, disposti in
provvedimenti amministrativi relativi all’autorizzazione integrata ambientale,
e assistita dalla garanzia di una specifica disciplina di controllo e
sanzionatoria.
Invece con la sentenza del 2018 n° 58 la
Corte Costituzionale ha ritenuto che “il legislatore non ha rispettato
l’esigenza di bilanciare in modo ragionevole e proporzionato tutti gli
interessi costituzionali rilevanti, incorrendo in un vizio di illegittimità
costituzionale per non aver tenuto in adeguata considerazione le esigenze di
tutela della salute, sicurezza e incolumità dei lavoratori, a fronte di
situazioni che espongono questi ultimi a rischio della stessa vita. Infatti,
nella normativa in giudizio, la prosecuzione dell’attività d’impresa è
subordinata esclusivamente alla predisposizione unilaterale di un “piano” ad
opera della stessa parte privata colpita dal sequestro dell’autorità
giudiziaria, senza alcuna forma di partecipazione di altri soggetti pubblici o
privati.”
Aggiunge la Corte nella sentenza del 2018 che il legislatore
ha finito col privilegiare in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione
dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti
costituzionali inviolabili legati alla tutela della salute e della vita stessa
(artt. 2 e 32 Cost.), cui deve ritenersi
inscindibilmente connesso il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non
pericoloso (art. 4 e 35 Cost.). Conclude la Corte: l’art. 41
Cost. (anche nella versione precedente all’ultima riforma citata
in precedenza) deve essere interpretato nel senso che esso «limita
espressamente la tutela dell’iniziativa economica privata quando questa ponga
in pericolo la “sicurezza” del lavoratore» (sentenza n. 405 del 1999). Così
come è costante la giurisprudenza costituzionale nel ribadire che anche le
norme costituzionali di cui agli artt. 32 e 41 Cost. impongono
ai datori di lavoro la massima attenzione per la protezione della salute e
dell’integrità fisica dei lavoratori (sentenza n. 399 del 1996 - QUI).
Ma soprattutto nella sentenza del 2018 la Corte afferma che
occorre rimuovere prontamente i fattori di pericolo per la salute, l’incolumità
e la vita dei lavoratori costituisce infatti condizione minima e indispensabile
perché l’attività produttiva si svolga in armonia con i principi
costituzionali, sempre attenti anzitutto alle esigenze basilari della persona.
Il contrasto del Decreto Legge 2/2023 con la giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo
In una direzione simile alla sentenza della Corte Costituzionale
del 2018, si veda la Corte Europea dei diritti dell’uomo con
sentenza del 2019 (QUI) che ha
affermato, in relazione al decreto legge del 2015 ed in generale ai ritardi
delle autorità pubbliche nell’affrontare la questione di Taranto, che lo
Stato italiano non aveva messo in atto le misure atte a proteggere il diritto
al rispetto della vita privata dei cittadini, né aveva fornito agli stessi un
rimedio interno efficace per la difesa di tale diritto, violando con la propria
condotta gli artt. 8 e 13 della Convenzione; precisando, in
particolare, che l’art. 8 comporta l’obbligo per lo Stato di attuare un
bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello individuale, adottando una
idonea regolamentazione dell’attività inquinante al fine di assicurare la
protezione effettiva dei cittadini.
Non paiono quindi rispettati questi indirizzi della Corte
Costituzionale ma ancora di più della nuova versione dell’articolo 41 della
Costituzione visto che di bilanciamento di interessi c’è poco
nelle norme del nuovo Decreto Legge 2/2023. Si arriva infatti a
prevedere un bilanciamento che poi si traduce in prescrizioni decise dal
giudice fuori da una istruttoria che coinvolga direttamente gli enti preposti
alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente.
La violazione del principio costituzionale del giudice naturale
Non solo ma addirittura si arriva a spostare, in caso di
impugnazione del provvedimento di prosecuzione dell’attività o di diniego di
prosecuzione della stessa, al tribunale di Roma ledendo il principio sancito
dall’art. 25 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere distolto dal
giudice naturale precostituito per legge “ vale a dire giudice
individuato in base a criteri oggettivi relativi al territorio e alla situazione
che ha prodotto il fatto illecito e non ex lege.
[NOTA 1] Le sanzioni interdittive
sono: a) l'interdizione dall'esercizio dell'attività; b) la sospensione o la
revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione
dell'illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione,
salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l'esclusione
da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di
quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
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