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lunedì 12 dicembre 2022

La Corte Costituzionale su competenza esclusiva statale per la liquidazione degli usi civici

Sentenza Corte Costituzionale n° 236 pubblicata lo scorso 28 novembre (QUI)che ha dichiarato la incostituzionalità di una norma regionale perché:

1. proroga una disciplina invasiva della materia di competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile», differenziando, per il territorio di una singola Regione (nel caso specifico la Calabria), il modo di procedere alla liquidazione degli usi civici, all'affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo.

2. proroga la possibilità di liquidare gli usi civici, e prevede la possibilità di affrancare i fondi e di legittimare le occupazioni sine titulo, attraverso un procedimento semplificato che esclude l'approvazione o il nulla osta della regione, invadendo la competenza esclusiva del legislatore statale in materia ambientale, ed eludendo i controlli predisposti a tutela del paesaggio e dell'ambiente.

Vediamo specificamente le motivazioni della sentenza su entrambi i due settori sopra sintetizzati.


 

USI CIVICI E NORMATIVA DELL’ORDINAMENTO CIVILE

La Corte per arrivare a questa decisione ricostruisce l’evoluzione della normativa statale in materia di usi civici sottolineando come quella più recente dimostra la competenza esclusiva statale, segnata dal perimetro dell'ordinamento civile.

Una normativa, quella statale più recente sugli usi civici, tutta ispirata all'obiettivo della conservazione di realtà e di territori, che vedono intrecciarsi l'ambiente e il paesaggio con le tradizioni antropologiche e culturali associate ai luoghi.

 

Un simile connubio si rinviene in due ordini di interventi.

1. Il primo è quello che ha imposto l'apposizione di un vincolo paesaggistico alle «aree assegnate alle università agrarie e alle zone gravate da usi civici» (art. 1, primo comma, lettera h, del d.l. n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni, nella legge n. 431 del 1985 (QUI), che ha integrato l'art. 82, quinto comma, lettera h, del d.P.R. n. 616 del 1977 (PERALTRO SOPPRESSO dal DLgs 63/2008 QUI, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, recante «Protezione delle bellezze naturali», disposizione poi trasfusa nell'art. 142, comma 1, lettera h, cod. beni culturali QUI).

2. Il secondo si identifica con la disciplina recata dalla legge n. 168 del 2017 (Norme in materia di domini collettivi QUI), fortemente innovativa rispetto ai capisaldi civilistici dell'istituto, a partire dal riconoscimento di una nuova istituzione espressamente attuativa degli artt. 2, 9, 42, secondo comma, e 43 Cost., i domini collettivi, qualificati come «ordinamento giuridico primario delle comunità originarie» e riferiti a una «collettività di membri» (art. 1, comma 1), che traggono normalmente utilità dal fondo (art. 2, comma 3, lettera a).

 

A tale paradigma si raccorda una nuova categoria di beni collettivi che, ai sensi dell'art. 3, comma 1 Legge 168/2017, ricomprende non soltanto le terre attribuite, originariamente o all'esito di liquidazioni, a comuni, frazioni o associazioni agrarie, nonché quelle derivanti da «scioglimento delle promiscuità» e da altri meccanismi previsti dalla legge n. 1766 del 1927; «da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione», ma anche le terre collettive delle comunioni familiari montane; i corpi idrici sui quali i residenti esercitano gli usi civici e, infine, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera d) legge 168/2017, le terre gravate da usi civici non ancora liquidati su proprietà di soggetti pubblici o privati. A tutto questo insieme di beni viene riferito il regime giuridico «dell'inalienabilità, dell'indivisibilità, dell'inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale» (art. 3, comma 3 legge 168/2017).

 

La natura del bene si dimostra, dunque, funzionale a un interesse di godimento collettivo che spetta ai componenti della comunità, i quali sono al contempo vincolati, nella conservazione della destinazione delle terre, al rispetto di una «comproprietà inter-generazionale» (art. 1, comma 1, lettera c).

Quanto alla forma giuridica che la legge statale associa all'interesse, si tratta o di una proprietà collettiva (art. 1, comma 1, lettera c, e comma 2 legge 168/2017) o di «diritti di uso civico» in re aliena [NOTA 1] (art. 1, comma 2  legge 168/2017), senza attribuzione di quote, la cui titolarità è riferita a «enti esponenziali [...] di diritto privato» (art. 1, comma 2), secondo una logica radicalmente distinta da quella del dominio individuale, ma che si colloca ugualmente nel solco della dimensione privatistica.

L'approccio fortemente conservativo della nuova disciplina rende non agevole il coordinamento ermeneutico con la precedente legge n. 1766 del 1927 QUI, che non è stata abrogata con il nuovo intervento.

Per un verso, vengono attribuiti anche alle terre gravate da usi civici non ancora liquidati (art. 3, comma 1, lettera d, della legge n. 168 del 2017) i caratteri della inalienabilità, della indivisibilità, della inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale. Per un altro verso, l'art. 3, comma 6, della medesima legge fa espresso riferimento al «caso di liquidazione degli usi civici».

Il punto di saldatura fra perpetua destinazione dei beni e liquidazione degli usi civici viene individuato dallo stesso art. 3, comma 6, nel mantenimento del vincolo paesaggistico anche all'esito del meccanismo liquidatorio.

Un così delicato e complesso raccordo normativo, che impone il massimo rigore nella verifica dei presupposti sostanziali che consentono di accedere alla liquidazione degli usi, alla affrancazione del fondo e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo, non consente alcuna ingerenza da parte del legislatore regionale.

 

Per converso, l'impugnato art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021 non solo invade una materia di esclusiva competenza del legislatore statale, ma oltretutto, nel prorogare la vigenza di una disciplina improntata alla massima semplificazione delle citate procedure, si colloca agli antipodi delle esigenze cui fa fronte la disciplina statale.

Dove la legislazione statale prevede la competenza regionale e, nel caso delle legittimazioni di cui all'art. 9 della legge n. 1766 del 1927, il decreto del Presidente della Repubblica, d'intesa con la regione interessata (supra, punto 5.1.1), l'art. 27 prorogato dal citato art. 1 esclude tout court l'approvazione e lo stesso visto regionale, così facendo residuare la mera competenza comunale ai sensi dell'art. 14 della legge reg. Calabria n. 18 del 2007.

Infine, e soprattutto, il legislatore regionale dispone un meccanismo di silenzio assenso il quale espone al rischio che non vengano effettuati i delicati e rigorosi accertamenti richiesti rispetto ai procedimenti di liquidazione degli usi civici, di affrancazione dei fondi, nonché rispetto alla eccezionale previsione della legittimazione di occupazioni sine titulo. Un tale meccanismo non solo non è contemplato dal legislatore statale, ma al contrario - come si dirà (infra, punto 6) - in presenza del vincolo paesaggistico è espressamente escluso.

In sostanza, la disciplina regionale impugnata configura un procedimento semplificato che, nel distaccarsi dal modello delineato dal legislatore statale e dalle finalità conservative dei beni gravati da usi civici, si risolve in un diverso modo di incidere sul regime giuridico di tali beni, il che non compete in alcun modo alle regioni.

Deve, dunque, ritenersi fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Calabria n. 41 del 2021, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto disposizione che proroga una disciplina invasiva della materia di competenza esclusiva del legislatore statale «ordinamento civile», differenziando, per il solo territorio della Regione Calabria, il modo di procedere alla liquidazione degli usi civici, all'affrancazione del fondo enfiteutico e alla legittimazione delle occupazioni sine titulo.

Viene, in tal modo, intaccato il fondamento stesso della «attribuzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato» della competenza in materia di ordinamento civile, che si rinviene «nell'esigenza, sottesa al principio di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l'uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati» (da ultimo Corte Costituzionale sentenza n. 228 del 2021 (QUI); nello stesso senso, sentenza n. 75 del 2021 QUI).

 

 

 

USI CIVICI E NORMATIVA DI TUTELA AMBIENTALE

Il Decreto Legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, all'art. 1, comma 1, e, con il medesimo contenuto, il successivo codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 142, comma 1, lettera h) QUI hanno sottoposto a vincolo paesaggistico tutti i beni destinati a usi civici, senza operare alcuna distinzione fra destinazione boschiva e pascoliva o destinazione agricola. È il segno, insieme a una generalizzata esigenza di protezione del paesaggio, di un nuovo rapporto fra ambiente e agricoltura, di un possibile utilizzo eco-sostenibile della terra che vede coniugarsi la fruizione collettiva con le istanze di conservazione «degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di "una integrazione tra uomo e ambiente naturale (art. 1, comma 3, della legge quadro sulle aree protette, 6 dicembre 1991, n. 394 QUI)» (sentenza  Corte Costituzionale n. 46 del 1995 QUI).

L'impostazione trova una chiara conferma nella legge n. 168 del 2017 (Norme in materia di domini collettivi QUI) che, all'art. 2, comma 1, motiva la tutela e la valorizzazione dei beni collettivi di godimento, anche a beneficio delle «future generazioni» (sentenza n. 228 del 2021 QUI), con la loro attitudine a configurarsi quali: «a) elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali; b) strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale; c) componenti stabili del sistema ambientale; d) basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia del patrimonio culturale e naturale; e) strutture eco-paesistiche del paesaggio agro-silvo-pastorale nazionale; f) fonti di risorse rinnovabili da valorizzare ed utilizzare a beneficio delle collettività locali degli aventi diritto».

Ebbene, la disciplina regionale contestata, nel prorogare la possibilità di liquidare gli usi civici, di affrancare i fondi e di legittimare le occupazioni sine titulo, attraverso un procedimento semplificato che esclude l'approvazione o il nulla osta della regione, non solo invade la competenza esclusiva del legislatore statale in materia ambientale, ma deroga alle stesse previsioni statali quanto ai soggetti competenti a provvedere, eludendo i controlli predisposti a tutela del paesaggio e dell'ambiente.

Inoltre, e soprattutto, la disposizione regionale impugnata proroga un meccanismo di silenzio assenso nell'approvazione dei citati provvedimenti che, riguardando beni gravati dal vincolo paesaggistico, si pone in aperta collisione con la legislazione statale. L'art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi QUI), e successive modificazioni, esclude l'applicazione del silenzio assenso cosiddetto "verticale", ove vengano in rilievo il patrimonio culturale e paesaggistico o l'ambiente (sentenza Corte Costituzionale n. 160 del 2021 QUI).

Una tale semplificazione di procedimenti che necessitano, per il loro contenuto e il loro incidere su beni di rilievo paesaggistico, ambientale e culturale, di controlli effettivi, non surrogabili con il mero trascorrere del tempo, determina la violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 


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[NOTA 1] Letteralmente "diritti reali su cosa altrui", l'espressione fa riferimento a situazioni giuridiche tutelate in modo assoluto ed erga omnes, rappresentate dal fatto che più soggetti sono titolari di diritti sulla medesima res, che a sua volta appartiene ad altri. Si tratta di diritti limitati, che si esercitano in concomitanza del diritto di proprietà, che viene da questi limitato per permettere il godimento altrui del bene. Si distinguono diritti reali di godimento, come l'usufrutto, l'enfiteusi, l'uso e la servitù, e diritti reali di garanzia come l'ipoteca e il pegno. (fonte Studio Cataldi)

 

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