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mercoledì 6 aprile 2022

Periodo di caccia e poteri di deroga della Regione: la Liguria ancora bocciata dalla Corte Costituzionale

Ci risamo! La Regione Liguria si becca un'altra sentenza della Corte Costituzionale che dichiara incostituzionale l’ennesimo atto legislativo in materia ambientale (dopo gli altri 9 vedi QUI)

La Corte Costituzionale con sentenza n° 69 del 15 marzo 2022 (QUI) dichiara la incostituzionalità

di della norma regionale ligure che allunga il periodo di caccia prevedendo che il divieto temporaneo di caccia di una specie comporta che il periodo del divieto deve essere recuperato successivamente allungando quindi i tempi di caccia oltre i limiti della legge nazionale.

 

 

LA LEGGE REGIONALE IMPUGNATA

Trattasi di una norma interpretativa per cui l'«arco temporale massimo» di cui all'art. 18, commi 1 e 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) va inteso come il numero complessivo di giornate di caccia fruibili nel corso della stagione venatoria e riferite ad una determinata specie. Il comma 1-quater stabilisce che il divieto temporaneo di caccia ad una determinata specie sospende il decorso dei termini dell'arco temporale massimo, consentendo in pratica il recupero delle giornate di sospensione anche nel periodo eccedente l'arco temporale massimo.


LE MOTIVAZIONI DI INCOSTITUZIONALITÀ DELLA SENTENZA DELLA CORTE

L'art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992 individua cinque gruppi di specie cacciabili e per ciascuna di esse indica uno specifico arco temporale per l'esercizio del prelievo venatorio.

Il successivo comma 2 autorizza le Regioni a modificare i periodi di caccia in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali, previa acquisizione del parere dell'ISPRA, purché la modifica sia contenuta tra il 1° settembre e il 31 gennaio, nel rispetto dell'arco temporale massimo di cui al comma 1 dello stesso art. 18.

Dall'interpretazione letterale di tali disposizioni si evince che l'arco temporale massimo è il periodo di tempo compreso tra la data di inizio e la data di fine della caccia riferita a ciascuna specie, periodo modificabile nell'intervallo temporale che va dal 1° settembre al 31 gennaio senza incidere sulla sua durata, che non può essere superiore a quella stabilita dallo Stato. Il principio è stato di recente ribadito da questa Corte che ha precisato che «se i termini dei periodi di caccia sono modificabili, non lo sono, invece, le relative durate, che non possono essere superiori a quelle stabilite, e che, comunque, non possono essere estese all'intera stagione venatoria» (sentenza n. 113 del 2021).

La ratio di tali disposizioni va rinvenuta nella necessità di tutela delle specie animali, a cui deve essere assicurato un adeguato periodo di tranquillità per la nidificazione e la riproduzione, così da garantirne la conservazione, e trova fondamento nell'art. 7 della direttiva 2009/147/CE e nel principio di conservazione delle specie ivi declinato, per cui è esclusa la cacciabilità degli uccelli selvatici durante la stagione riproduttiva.

Tali esigenze di tutela comportano, nel riparto interno di competenze, l'attrazione della disciplina dei termini per l'attività venatoria di cui all'art. 18 della legge n. 157 del 1992 alla competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale, integrando tale disposizione il punto di equilibrio tra «il primario obiettivo dell'adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l'interesse [...] all'esercizio dell'attività venatoria» (sentenza n. 4 del 2000), con conseguente vincolo al suo rispetto per il legislatore regionale che non può derogare in peius i livelli di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema fissati dalla legislazione statale (sentenze n. 16 e n. 7 del 2019, n. 174 del 2017 e n. 303 del 2013).

Sulla scorta di ciò è evidente, dunque, che, richiedendo la conservazione delle specie un periodo continuativo di "pacificazione venatoria", finalizzato alla riproduzione, la durata del periodo di caccia è stabilita dallo Stato nell'esercizio della competenza esclusiva in materia ambientale, le Regioni non possono allungarlo, né frammentarlo, con recuperi successivi alla sua data finale, senza incorrere in un abbassamento degli standard di tutela prescritti dalla legislazione nazionale.

Le suesposte considerazioni non consentono di condividere l'assunto della difesa della Regione Liguria che muove dal presupposto per cui l'arco temporale massimo definito dal legislatore statale corrisponderebbe ad un totale di giornate di caccia, così da ritenere del tutto indifferente e, quindi, ammissibile, che l'eventuale sospensione di alcune giornate possa essere oggetto di recupero anche oltre i limiti dell'arco temporale massimo, non comportando tale recupero alcun allungamento del periodo complessivo.

Infatti, poiché la ratio che è alla base della cacciabilità di ciascuna specie secondo un arco temporale massimo è, come si è detto, da rinvenirsi nell'esigenza di tutela delle stagioni di riproduzione della fauna selvatica, l'arco temporale deve corrispondere ad un intervallo temporale continuativo e non può essere riferito alla somma delle giornate in cui è consentito l'abbattimento nel corso dell'intera stagione venatoria oltre i termini indicati dall'art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992.

Per tutti i suddetti motivi la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale della norma impugnata

 

 

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