Il Ministro della
Transizione Ecologica (di seguito MITE) dichiara oggi sul Corriere
della Sera relativamente alle autorizzazioni che confermano le trivelle per
estrazioni di gas metano e idrocarburi in generale dichiara: “la legge
impone di concludere gli atti amministrativi e così è stato fatto”.
Non esiste alcun
automatismo, la questione non è semplice come spiego nel post che segue ma si
possono rivedere decisioni già prese. Quello che trovo insopportabile è che i
politici (anche se di origine tecnica come il Ministro in questione) non
spiegano mai fino in fondi i loro reali poteri e gli spazi di iniziativa che
hanno per esercitarli. Un buon governante deve invece comunicare ai cittadini
quali sono i confini dell’esercizio delle sue funzioni, rispettarli e solo alla
fine concludere che non può fare una determinata scelta ma motivando e avendo chiarito
preventivamente fino a che punto poteva e può arrivare.
La questione trivelle non
è così semplice come la fa il Ministro. Certamente per molti giacimenti
autorizzati è vero che la VIA era stata rilasciata prima dell’avvento del nuovo
Ministro e del MITE ma per altri non è così. Per alcuni di questi giacimenti il
Decreto conclusivo di Valutazione di Impatto Ambientale (di seguito VIA)
è stato rilasciato dal neo Ministro.
Non solo ma come sa bene il Ministro anche di fronte ad un procedimento di VIA concluso, se ci sono motivi adeguati che dimostrino lacune istruttorie, lo stesso può essere riaperto.
Quindi intanto il Ministro per le conclusioni di VIA decise dal Ministro precedente (in concerto con i Beni Culturali) avrebbe dovuto dichiarare quanto segue: “avvierò immediatamente con i miei uffici una istruttoria per valutare eventuali lacune istruttorie e vizi procedurali che permettano una riapertura dei procedimenti di VIA fino al possibile annullamento in autotutela degli stessi”. Ovviamente per quelli per i quali la VIA è stata rilasciata dal MITE inutile dire che non doveva rilasciarla visto che dipendeva dal neo Ministro.
Se avesse scelto la strada di aprire una istruttoria di questo tipo avrebbe potuto rinviare il rilascio delle concessioni. Come è noto il comma 1 articolo 29 del DLgs 152/2006: “1. I provvedimenti di autorizzazione di un progetto adottati senza la verifica di assoggettabilità a VIA o senza la VIA, ove prescritte, sono annullabili per violazione di legge.”.
Il tutto è reso ancora più facile dal dato normativo (articolo 2 Legge 55/2021 QUI) per cui oggi il Ministro della Transizione Ecologica non ha solo la competenza sulla VIA per gli impianti energetici ma anche la autorizzazione/concessione finale che prima era dello Sviluppo Economico.
Ma perché la VIA può
essere rivista fino a concludersi con un giudizio negativo di compatibilità
ambientale.
Questo deriva dalla stessa natura giuridica della VIA che
non è una semplice autorizzazione dove una volta dimostrati il rispetto dei
vincoli specifici di legge questa deve essere rilasciata sulla base di una
istruttoria che è sostanzialmente tecnica e quindi di competenza del dirigente
burocrate di turno.
La VIA è una valutazione dove entrano in gioco aspetti di discrezionalità non solo strettamente tecnici. Certo so bene che le ultime modifiche alla normativa sulla VIA stanno trasformando sempre di più la VIA in un atto interno alla procedura autorizzatoria generale. Mi riferisco a quanto previsto dall’articolo 27 DLgs 152/2006 (provvedimento unico in materia ambientale) e dall’articolo 27-bis (provvedimento autorizzatorio unico regionale). Ma intanto per la VIA statale l’articolo 27 si applica solo se lo vuole il Ministero (MITE) mentre il 27-bis è invece obbligatorio per le Regioni. Non solo ma nel caso delle trivelle il tipo di procedura non prevedeva l’applicazione dell’articolo 27 quindi come dire questa argomentazione non sussiste.
Ma c’è di più. In realtà al di là delle questioni procedurali sopra citate la natura giuridica del procedimento di VIA è stata ampiamente chiarita dal Consiglio di Stato. Questa natura esclude che la VIA sia un procedimento tutto gestito su parametri tecnici dove il livello politico amministrativo non può incidere. Questa non solo è una balla ma è un modo chiaro per snatura la VIA rendendola sempre di più un bollino da staccare per realizzare l’opera, insomma una sorta di giustificazione ex post di scelte già decise a priori.
Afferma il Consiglio di Stato Sez.V n.1640 del 22 marzo 2012 (QUI): “nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo”
Aggiunge sempre il Consiglio
di Stato Sez. V n.3254 del 31 maggio 2012 (QUI): “… alla
stregua dei principi comunitari e nazionali, oltre che delle sue stesse
peculiari finalità, la valutazione di impatto ambientale non si sostanzia
in una mera verifica di natura tecnica circa la astratta compatibilità
ambientale dell’opera, ma implica una complessa e approfondita analisi
comparativa tesa a valutare il sacrificio ambientale imposto rispetto
all’utilità socio – economica… da qui la possibilità di bocciare progetti che
arrechino vulnus non giustificato da esigenze produttive, ma suscettibile di
venir meno, per il tramite di soluzioni meno impattanti in conformità al
criterio dello sviluppo sostenibile e alla logica della proporzionalità tra
consumazione delle risorse naturali e benefici per la collettività che deve
governare il bilanciamento di istanze antagoniste (cfr. Cons. St., sez.
VI, 22 febbraio 2007, n. 933)”. Non può sostenersi pertanto che la
valutazione di impatto ambientale sia un mero atto (tecnico) di gestione ovvero
di amministrazione in senso stretto, rientrante come tale nelle attribuzioni
proprie dei dirigenti, trattandosi piuttosto di un provvedimento con cui viene
esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico –
amministrativo con particolare riferimento al corretto uso del territorio (in
senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei
(contrapposti) interessi, pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici,
nonché di sviluppo economico – sociale) e privati, che su di esso insistono,
come tale correttamente affidata all’organo di governo”.
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