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lunedì 18 gennaio 2021

Piano Paesaggistico e principio leale collaborazione tra Stato e Regione

La Corte Costituzionale (sentenza n°240 depositata il 17 novembre 2020 e pubblicata il 18/11  -QUI)  in relazione ad un conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione Lazio ne riafferma il significato del principio di co-pianificazione per i Piani Paesaggistici .

La Corte con la sentenza di seguito descritta conferma come nella legislazione regionale il ruolo degli organi ministeriali preposti alla tutela del Paesaggio nell’ambito della elaborazione e approvazione dei Piani Paesaggistici non possa essere di mera partecipazione.

 

In particolare secondo la Corte Costituzionale  seppure l'obbligo di pianificazione congiunta investa i beni paesaggistici di cui all'art. 143, comma 1, lettere b), c) e d), del d.lgs. n. 42 del 2004, "non è ammissibile la generale esclusione o la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriali in procedimenti che richiedono la cooperazione congiunta: in tali ipotesi la tutela paesaggistica verrebbe degradata, da valore unitario prevalente e a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica" (Corte Costituzionale n. 64 del 2015 QUIn. 66 del 2018 QUIn. 197 del 2014 QUI).

L'unitarietà del valore della tutela paesaggistica comporta, dunque, l'impossibilità di scindere il procedimento di pianificazione paesaggistica in subprocedimenti che vedano del tutto assente la componente statale.

Nella direzione anzidetta si è mossa la giurisprudenza precedente della Corte, la quale, ancora di recente, ha affermato che "la disciplina statale volta a proteggere l'ambiente e il paesaggio viene [...] 'a funzionare come un  limite  alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza'" (Corte Costituzionale n. 66 del 2018). Essa "richiede una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un'attività pianificatoria estesa sull'intero territorio nazionale [...] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni" (Corte Costituzionale n. 66 del 2018). È in questa prospettiva che il codice dei beni culturali e del paesaggio pone, all'art. 135, un obbligo di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, con riferimento agli immobili e alle aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 (le cosiddette "bellezze naturali"), alle aree tutelate direttamente dalla legge ai sensi dell'art. 142 (le cosiddette "zone Galasso", come territori costieri, fiumi, torrenti, parchi) e, infine, agli ulteriori immobili ed aree di notevole interesse pubblico (art. 143, lettera d Codice Beni Culturali e del Paesaggio). Tale obbligo costituisce un principio inderogabile della legislazione statale, che è, a sua volta, un riflesso della necessaria "impronta unitaria della pianificazione paesaggistica" (Corte Costituzionale n. 64 del 2015), e mira a "garantire, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente" (Corte Costituzionale n. 210 del 2016 QUI - n. 86 del 2019 QUI , ma già nello stesso senso  n. 178 QUIn.68 QUI e n. 66 del 2018, n. 210 del 2016, n. 64 del 2015, n. 197 del 2014, n. 211 del 2013 QUI).

Pertanto, l'intervento della Regione, volto a modificare unilateralmente la disciplina di un'area protetta, costituisce violazione, non solo degli impegni in ipotesi assunti con il Ministero in sede procedimentale, "ma soprattutto di quanto prescritto dal codice dei beni culturali e del paesaggio che, attraverso la partecipazione degli organi ministeriali ai procedimenti in materia, mira a garantire l'effettiva ed uniforme tutela dell'ambiente" (Corte Costituzionale n. 210 del 2016), affidata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (Corte Costituzionale n. 86 del 2019).

E ancora, «la circostanza che la Regione sia intervenuta a dettare una deroga ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente, sia pure con riguardo alle pertinenze, in deroga agli strumenti urbanistici, senza seguire l'indicata modalità procedurale collaborativa e senza attendere l'adozione congiunta del piano paesaggistico regionale, delinea una lesione della sfera di competenza statale in materia di "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", che si impone al legislatore regionale, sia nelle Regioni a statuto speciale (Corte Costituzionale n. 189 del 2016 QUI ) che a quelle a statuto ordinario come limite all'esercizio di competenze primarie e concorrenti» (Corte Costituzionale n. 86 del 2019).

Quanto detto non vanifica le competenze delle regioni e degli enti locali, “ma è l'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica che è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull'intero territorio nazionale: il paesaggio va, cioè, rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali” (Corte Costituzionale n. 182 del 2006 QUI ; ma anche n. 86 del 2019, n. 68 e n. 66 del 2018, n. 64 del 2015 e n. 197 del 2014).

 

 

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