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martedì 3 dicembre 2019

Nuova legge sulla cessazione qualifica rifiuto: limiti e contraddizioni con giurisprudenza UE

La legge 128/2019 all’articolo 14-bis (QUI) modifica l’articolo 184-ter del  DLgs 152/2006 (parametri normativi per definire la cessazione della  qualifica di rifiuto). In particolare:
1. Si stabilisce che tra le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto la sostanza o l'oggetto devono essere destinate ad essere utilizzate per scopi specifici (mentre nella versione precedente si faceva riferimento al termine più blando “comune utilizzo per scopi specifici”.
2. La seconda modifica prevede che, in assenza di norme specifiche comunitarie o di decreti ministeriali che per singole tipologie di rifiuto definiscano quando il rifiuto cessa di essere tale dopo attività di recupero, sono validi i criteri definiti nell’ambito delle procedure autorizzatorie per le attività di recupero. 

I  criteri definiti nelle procedure autorizzatorie (secondo la modifica introdotta dalla nuova legge) devono contenere:
a)  materiali di rifiuto in  entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;
b) processi e tecniche di trattamento consentiti;
c) criteri di qualità  per  i  materiali  di  cui  è  cessata  la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di  recupero  in  linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;
d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla  cessazione della qualifica di rifiuto,compresi il controllo della qualità, automonitoraggio el'accreditamento, se del caso;
e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità.

Il comma 19 articolo della legge 55/2019 (conversione in legge del Decreto Legge 18 aprile 2019, n. 32 - QUI) ha modificato il coma 3 dell’articolo 184-ter del DLgs 152/2006 che disciplina i parametri per la definizione delle condizioni di cessazione della qualifica di rifiuto. Il nuovo comma 3 afferma che in attesa dei decreti che devono, in attuazione del comma 1 articolo 184-ter, definire le condizioni della cessazione di qualifica di rifiuto per singole tipologie di rifiuto, restano per le procedure semplificate di recupero in vigore i decreti esistenti come quello del 5/2/1988. 


Secondo la modifica spetta ad Ispra e alle Arpa territorialmente competenti controllare la coerenza tra le autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti e i criteri definiti come sopra riportato. Questa verifica viene comunicata al Ministero dell’Ambiente che deve avvallare le nuove autorizzazioni e relativi criteri. Qui sorge un problema: i controlli Ispra/Arpa sono a campione, il che potrebbe comportare che chi non è controllato fa come gli pare e chi è controllato visti i tempi dei passaggi prima ad Ispra e poi al Ministero dell’Ambiente potrebbe attendere mesi se non anche 1 anno (visti i tempi burocratici peraltro non bene definiti dalla riforma) per lavorare con certezza di essere nel diritto.

Quindi questa modifica permette di dichiarare la cessazione della qualifica di rifiuto anche con criteri definiti a livello regionale in sede appunto di autorizzazione delle singole attività di recupero anche con specifiche linee guida regionali.
La nuova normativa supera la sentenza del Consiglio di Stato n°1229 del 2018 (QUI) dove si afferma che le Regioni non possono autonomamente fissare criteri per far cessare la qualifica di rifiuto attraverso singole procedure autorizzatorie. Il Consiglio di Stato, con questa sentenza non aveva fatto altro che applicare quanto previsto dai commi 1 e 2 dell’articolo 184-ter del DLgs 152/2006 nella versione precedente alla modifica ora introdotta.

Quello che non pare superare la nuova normativa è invece la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.



LE CONTRADDIZIONI DELLA NUOVA NORMATIVA CON LA RECENTE GIUISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA
Quanto sopra non risulta coerente con la sentenza della Corte di Giustizia  del 28/3/2019 causa C-60-18 (per il testo QUI).
La sentenza deriva da un quesito posto dalla autorità giudiziaria dello Stato membro. Il quesito rivolto alla Corte europea riguardava la possibilità di ottenere, caso per caso, in assenza di un atto comunitario e di un regolamento ministeriale, una dichiarazione di fine-rifiuto dalla parte della Agenzia per l’ambiente nazionale applicando direttamente l’art. 6, comma 4 della direttiva sui rifiuti 2008/98, secondo il quale “se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile”.
La Corte di Giustizia UE pronunciandosi sul quesito ha così statuito:
1. “L’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 non osta quindi ad una normativa nazionale in forza della quale, in mancanza di criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto stabiliti a livello di Unione con riferimento a un determinato tipo di rifiuti, detta cessazione dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale.”
2. l’art. 6, comma 4 della direttiva comunitaria non consente al detentore di un rifiuto “di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro ”.
Aggiunge inoltre la Corte di Giustizia: “risulta dalla formulazione dell’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 che gli Stati membri possono prevedere la possibilità di decisioni relative a casi individuali, in particolare sulla base delle domande presentate dai detentori della sostanza o dell’oggetto qualificati come « rifiuti », ma possono anche adottare una norma o una regolamentazione tecnica relativa ai rifiuti di una determinata categoria o di un determinato tipo di rifiuti. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 49 delle sue conclusioni, l’obbligo, contenuto in tale disposizione, di notificare siffatte misure alla Commissione allorché la direttiva 98/34, come modificata dalla direttiva 98/48, lo richiede riguarda i progetti di regola tecnica e non le decisioni individuali”.
La Corte quindi fa esplicito riferimento alla possibilità di criteri nazionali di esclusione dalla definizione di rifiuto solo con un “atto giuridico nazionale”.
La Corte esclude un potere decisionale sulla esclusione dalla definizione di rifiuto da parte di una autorità competente alla gestione dei rifiuti (in Italia Regioni e Province) come pure da parte di un giudice nazionale.
La Corte aggiunge che si possa derogare a tali divieti con provvedimenti (regole tecniche)  anche per casi singoli. Ma questo dipende dalla legislazione nazionale. 
Non mi pare che la norma ora introdotta che ha cambiato il 184-ter segua questo indirizzo.

P.S. come scrisse Gianfranco Amendola su Lexambiente del 30 novembre 2018: "Le vie degli inquinatori sono infinite. Tanto più se si tratta della nostra povera Italia, il paese dei magliari."

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