Questa mattina ho
partecipato ad una delle tante manifestazioni degli studenti per l’evento Fridays for future
Tantissimi giovani
in una piazza, tra le tante, gremita come non avevo mai visto per una
manifestazione ambientalista di taglio generale e non legata a questioni
specifiche.
Per me è stato un
onore ma anche una emozione, nonostante
la mia non più giovane età, intervenire alla fine della manifestazione.
Ho premesso che da
vecchio ambientalista per me al di la
delle poche parole che avrei detto era già sufficiente quella piazza per
spiegare come la sensibilità verso le questioni ambientali planetaria sia ormai
cambiata. Ho ricordato quando delle
questioni dell’effetto serra ne parlavamo negli anni 80 del secolo scorso in
luoghi ristretti e poco partecipati e con intorno lo scettiscimo non solo della
politica ma anche della imprenditoria e soprattutto della scienza ufficiale.
Da allora molte
cose sono cambiate soprattutto l’atteggiamento della scienza ufficiale e delle
organizzazioni internazionali a cominciare dall’ONU e della OMS, ma soprattutto
è nato questo movimento che non accenna a fermarsi e che sembra deciso a
cambiare intanto l’opinione pubblica mondiale al fine di far comprendere
come i tempi siano sempre più stretti
per salvare il nostro pianeta.
Tutto a posto
quindi? Purtroppo no sussiste ancora nella classe dirigente ma anche in molte
lobby imprenditoriali (soprattutto quelle legate all’uso delle fonti fossili)
come pure di una minoranza della comunità scientifica una visione che continua a produrre
contestazioni alle tesi sui rischi dei mutamenti climatici ed in generale sull’inquinamento
dei nostri ecosistemi.
Ad esempio si
contesta che sia un atto uno sterminio delle specie viventi e comunque che questo sterminio possa mettere
in discussione la vita sul pianeta compresa quella dell’uomo o almeno di ampie
parti di popolazione umana. Si tratta di una tesi che non tiene conto di uno
dei principi fondanti della ecologia per cui le crisi, la scomparsa di specie,
l’inquinamento diffuso possono produrre improvvise accelerazioni, sono i c.d. effetti senza livello di soglia.
Altro esempio si
sostiene che combattendo l’effetto serra si blocca lo sviluppo economico e
quindi chi vuole modificare l’attuale
modello di sviluppo vuole distruggere l’economia di mercato. Una balla gigantesca
come dimostrano i dati ufficiali del accoppiamento tra aumento dell’inquinamento
e riduzione del PIL e comunque della qualità della occupazione. Questo sempre che
il PIL sia ancora un parametro accettabile per misurare il miglioramento della
qualità della vita umana e non solo. Insomma la crisi ambientale produce crisi economica. Per non parlare che ormai persino la parte
più avveduta del mondo della impresa ha
capito di cosa stiamo parlando di cosa
ci stiamo giocando (si veda la Carta della sostenibilità e della competitività
delle imprese nella economica circolare).
In realtà se non si
fanno scelte sostenibili nei tempi adeguati è questione di lobby e di loro
capacità di influenzare in modo ancora rilevante la politica ufficiale: LO SVILUPPO NON C’ENTRA UN TUBO!
Ma anche se l’effetto
serra non fosse così grave a catastrofico, come invece la stragrande maggioranza
della comunità scientifica ci dice, i mutamenti climatici producono già ora
danni alla salute come ha spiegato l’OMS (Carta di Roma del 2018) e il Rapporto della
Accademia europea delle scienze (con ben 29 premi nobel).
Inoltre i critici
legati alle lobby delle fonti fossili sostengono che gli inquinanti in
occidente sono in diminuzione. In realtà si tratta di interpretazione falsate e
soprattutto riprodotte solo in parte per giustificare il mantenimento del
modello di sviluppo attuale. Questi dati si riferiscono solo ad una parte degli inquinanti (quelli tradizionali o primari) ma ne rimuovono molti altri.
Non solo ma questa tesi rimuove principi fondamentali:
1.
l’effetto
dose risposta che è sempre individuale per cui non esistono limiti certi e
assoluti in termini scientifici per tutelare la salute
2.
la
speciazione e la continua variazione degli inquinanti sempre nuovi e sempre più
complessi da monitorare
3.
l’effetto
sommatorio dei singoli inquinanti producendo effetti moltiplicatori in
progressione geometrica
4.
la
specificità dei siti: la stragrande maggioranza della popolazione vive in zone
densamente abitate molto inquinate.
Non a caso l’OMS in
un rapporto del 2013 ha rilevato come l’80% della popolazione europea vive in
aree con livelli di concentrazione di polveri fini (PM10, PM2,5) superiori ai limiti stabiliti dallo
stesso OMS,perdendo in media per singoli
cittadino 8,6 mesi di vita ma ovviamente questi mesi diventano anni per la
popolazione più a rischio (anziani, bambini, malati)
Infine i giovani di questo nuovo movimento devono non solo occuparsi delle questioni
mondiali legate ai mutamenti climatici ma anche quello che si muove intorno a
loro, nei luoghi dove abitano lavorano studiano, passano il loro tempo libero.
Non è un caso che l’ex
capo economista del Fondo Monetario Internazionale ( Raghuram Rajan) ha scritto un
libro intitolato “I Tre pilastri”. Due
di questi li conosciamo bene (Stato e mercato)
ma il terzo è stato rimosso in questi
decenni di globalizzazione selvaggia ed è la comunità nei suoi
territori. Secondo Rajan ci salviamo come specie se li teniamo insieme tutti e
tre, se si restituisce la sensazione ai
cittadini di poter controllare l’uso dei territori dove vivono.
Concludendo oggi
chi nega i rischi dei mutamenti climatici non è solo un inquinatore, un
lobbysta è prima di tutto un imbecille visto che sul pianeta deve vivere anche
lui. Può essere questo una affermazione intollerante
al pensiero altrui. NON È COSÌ! IL TEMPO DELLE DISCUSSIONI È FINITO ORA È
ARRIVATO IL TEMPO DI AGIRE PER IL NOSTRO PIANETA!
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