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venerdì 15 dicembre 2017

Con interdittiva antimafia niente autorizzazioni ambientali: il caso dell’impianto in Cerri di Follo

Leggo sul quotidiano La Nazione di oggi che l'Interdittiva Antimafia che ha colpito il titolare di un impianto rifiuti in provincia di Spezia (in località Cerri di Follo) non metterebbe in discussione la regolarità del funzionamento di detto impianto. A mio avviso non è così per tre ragioni:

La prima è che questo impianto deve andare ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), anzi il termine per adeguarsi è scaduto da anni come spiego di seguito.
La seconda è che c’è una sentenza del Consiglio di Stato (peraltro nata da un altro caso spezzino) che afferma esplicitamente che chi ha l’Interdittiva Antimafia non può  ottenere l’autorizzazione ambientale compresa l’AIA.
La terza, che è a prescindere dai primi due punti, si fonda sulla fatto che l’impianto sta sistematicamente violando le prescrizioni della vigente autorizzazione nella totale assenza delle autorità preposte : Provincia e Comune.

Di seguito spiego questi tre punti peraltro già affrontati in post precedenti e che qui riporto sinteticamente:


LA MANCATA AIA ALL’IMPIANTO RIFIUTI DI CERRI DI FOLLO
L’impianto rifiuti di Cerri –Follo) l’impianto è soggetto ad AIA fin dalla autorizzazione che aveva ricevuto nel 2008. È soggetto ad AIA in quanto impianto che non solo gestisce deposito rifiuti ma lo tratta sia pure da un punto di vista fisico superando la soglia delle 50 tonnellate giorno almeno per i non pericolosi prevista dalla normativa per applicare l’AIA, come confermato dalla autorizzazione ultima del 2014 dove si afferma che già nel 2008 l’impianto era autorizzato per una quantità media giornaliera di 100 tonnellate di rifiuti pericolosi e non.
Vediamo perché…

In base alla legislazione vigente i termini nuovi per adeguare gli impianti esistenti all’AIA  sono:
a) entro il 7 Settembre 2014 il gestore dell'impianto (ora vengono definiti installazioni) doveva presentare la domanda di AIA
b) entro il 7 luglio 2015 l'Autorità Competente deve rilasciare l'AIA. 

Rispetto a questo quadro le ultime novità sono contenute in una Circolare del Ministro dell’Ambiente dello scorso 17 giugno 2015  e in un decreto legge del 4 luglio 2015. 

La Circolare ha chiarito con nettezza che per le installazioni che non hanno ottenuto l’AIA entro il 7 luglio 2015 (data ormai superata) decadono automaticamente le autorizzazioni previgenti. Quindi non essendo più autorizzate queste installazioni non devono più funzionare fino all’adeguamento all’AIA.

Il Decreto Legge invece ha ulteriormente precisato che le installazioni suddette possono continuare a funzionare a condizione che il gestore (previa verifica della autorità competente al rilascio dell’AIA) dimostri che le autorizzazioni previgenti siano state sufficientemente aggiornate per garantire il rispetto del titolo III-bis della Parte II del DLgs 152/2006 cioè della disciplina dell’AIA.   N.B. Il Decreto Legge come da comunicato del Ministero della Giustizia (vedi QUI) non è stato convertito in legge quindi è decaduto. Ciò è confermato anche dal comma 3 articolo 1 Legge 6/8/2015 n. 125.
La conseguenza è che, fatti salvi i provvedimenti emessi nel periodo di vigenza del Decreto Legge, vale solo quanto chiarito nella Circolare sopra riportata per cui gli impianti che non hanno ottenuto l'AIA entro il 7 luglio 2015 decadono automaticamente dalle previgenti autorizzazioni. 
              

LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SUL RAPPORTO TRA INTERDITTIVA ANTIMAFIA E RILASCIO AUTORIZZAZIONE AMBIENTALI
L’impianto di Cerri di Follo quindi non potrebbe funzionare comunque in quanto non si è adeguato nei tempi di legge alla disciplina dell’AIA, ma alla luce della Interdittiva che ha colpito il gestore dell’impianto,  lo stesso, in quanto titolare dell’impianto in questione non può neppure presentare domanda di AIA, quindi questa è la seconda ragione per cui l’impianto andrebbe fermato in quanto la normativa antimafia non permette a questo impianto di adeguarsi, sia pure in clamoroso e illegale ritardo, a detta disciplina.
Questa non è una mia interpretazione ma una sentenza del Consiglio di Stato peraltro relativa ad un altro caso spezzino : un impianto di lavorazione inerti nel Comune di Vezzano Ligure.
Si tratta della sentenza del Consiglio di Stato n. 565 dello scorso 9 febbraio (vedi QUI
Il Consiglio di Stato con questa sentenza afferma che la normativa in materia (la legge delega 136/2010 e il successivo DLgs 159/2011 codice leggi antimafia) mira al superamento della rigida bipartizione tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni. Quindi chi ha l’interdittiva non può avere l’autorizzazione ambientale e la questione non può essere aggirata neppure trasferendo la titolarità ad altro familiare afferma sempre la sentenza.
Per una analisi della sentenza vi invito a leggere questo mio post QUI.




LA SISTEMATICA VIOLAZIONE DELLE PRESCRIZIONI DELLA VIGENTE AUTORIZZAZIONE DA PARTE DELL’IMPIANTO IN LOCALITÀ CERRI DI FOLLO
Dopo l’incendio di qualche settimana fa ( l’ennesimo vedi QUI) all'impianto di trattamento rifiuti speciali pericolosi in località Cerri del Comune di Follo è stata emanata una nuova ordinanza del Sindaco del Comune di Follo (vedi QUI per il testo) che vieta di gestire i rifiuti nel piazzale antistante l'impianto rifiuti in località Cerri.
Queste prescrizioni erano già previste da anni nelle autorizzazioni rilasciate a questo impianto (vedi QUI). Non a caso il 3 aprile 2015 la Provincia aveva diffidato la ditta che gestisce l’impianto sulla base di un verbale ispettivo del 18 marzo 2015 dove si rilevava la violazione delle prescrizioni sulla copertura dei cassonetti e della loro collocazione in area pavimentata.

In realtà L'impianto non è in grado di funzionare in sicurezza nel suo attuale modello di gestione non sono io a a scriverlo ma lo hanno dichiarato i rappresentanti legali della ditta che gestisce l’impianto in questione. Lo hanno dichiarato nella audizione dei cittadini residenti, tenutasi in data 11 aprile 2017, davanti alla commissione consiliare del Comune di Follo come riporto nella foto a fianco.




Nonostante tutto quanto sopra la situazione attuale continua a vedere una sistematica violazione delle prescrizioni (vedi foto a fianco scattate oggi da proprietà private di residenti) senza che le Autorità Competenti intervengano per una soluzione definitiva applicando la procedura di legge.
Ricordo che il comma 13 articolo 208 del DLgs 152/2006 recita: “13. Ferma restando l'applicazione delle norme sanzionatorie di cui al titolo VI della parte quarta del presente decreto, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione l'autorità competente procede, secondo la gravità dell'infrazione:
a)alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze;
b) alla diffida e contestuale sospensione dell'autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente;
c) alla revoca dell'autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l'ambiente
.”
È indiscutibile che le sistematiche violazioni che durano da anni avrebbero dovuto portare da tempo a quanto previsto dalla sopra citata lettera c) e cioè alla revoca della autorizzazione, profilandosi altrimenti la fattispecie di omissioni di atti di ufficio da parte della autorità competente, in questo caso la Provincia.
Ma visti i poteri di autorità sanitaria sul territorio Comunale il Sindaco potrebbe, di fronte alla inerzia della Provincia, intervenire con una ordinanza di sospensione dell’esercizio dell’impianto non per pochi giorni (come è stato fatto inutilmente nel passato) ma fino all’adeguamento dell’impianto alla normativa sull’AIA non essendo lo stesso, nella sua attuale configurazione, in grado di rispettare le leggi vigenti e la sicurezza dei cittadini residenti nelle aree limitrofe.

Ma c’è di più perché a mio avviso lo stoccaggio abusivo di rifiuto nel piazzale dell’impianto perpetrato per anni può realizzare anche la fattispecie di discarica abusiva (comma 3 articolo 256 DLgs 152/2006).
La Corte d Cassazione ha chiarito come si possa configurare il reato di discarica abusiva  anche se il deposito di rifiuti abbia una durata inferiore all’anno
Con la sentenza n.30583 dell’11 luglio 2014, la Cassazione ha chiarito un importante aspetto del reato di discarica abusiva, non ritenendo applicabile il termine temporale previsto dall’art. 2 lett. g) del d.lgs. 13/01/2003 n. 36 che identifica la discarica come “un'area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”.
Il deposito temporale superiore all’annualità non costituisce un elemento costitutivo della fattispecie prevista dall’art. 256 del T.U. Ambientale essendo sufficiente, per configurare il reato di discarica non autorizzata o abusiva, un abbandono reiterato di rifiuti anche se il loro deposito abbia durata inferiore ad un anno.
Nel caso di specie, della sentenza sopra citata, le risultanze probatorie avevano evidenziato una situazione di abbandono reiterato e prolungato di un’ingente quantità di rifiuti, di tipologie differenziate, alla rinfusa, accatastati in una pluralità di cumuli con un complessivo degrado dell’area, ritenuto sufficiente a configurare il reato indipendentemente dalla durata temporale del deposito. Si tratta di fattispecie concreta molto simile, se non uguale, a quella riscontrata nel piazzale superiore del centro in oggetto
Si veda più recentemente  Cass. Sez. III n. 18399 del 11 aprile 2017 (Ud 16 mar 2017) secondo la quale: “ É la mera occasionalità che differenzia l'abbandono dalla discarica e tale caratteristica può essere desunta da elementi indicativi quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità di rifiuti abbandonata, l'unicità della condotta di abbandono. Diversamente, la discarica richiede una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero un'unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco.
Il realizzare una discarica può ben significare allestire o anche destinare semplicemente un determinato sito a tale scopo, con la conseguenza che la eventuale realizzazione di opere può confermare la destinazione dell’area a discarica ma non costituisce una condizione assolutamente necessaria
.”

Per non parlare del delitto di inquinamento ambientale ex articolo 452-bis del Codice Penale che individua tre elementi per realizzare la fattispecie di questo reato:
1. condotta abusiva
2. condotta che cagiona una compromissione o un deterioramento dell’ambiente significativi
3. condotta che cagiona una compromissione o deterioramento dell’ambiente  misurabili:
In questo senso si veda la definizione di condotta abusiva

In particolare in relazione al concetto di condotta abusiva la Cassazione (Sentenza n.46170 del 3 novembre 2016) ha interpretato questo elemento della fattispecie del delitto di inquinamento ambientale secondo un  concetto ampio di condotta «abusiva», comprensivo non soltanto di quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche di prescrizioni amministrative.




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