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venerdì 13 febbraio 2015

Piazza Verdi: contraddizioni del Consiglio di Stato e confusione istituzionale

Il Consiglio di Stato ha deciso (vedi QUIsul progetto di riqualificazione di Piazza Verdi accogliendo in pieno le tesi del Comune e quindi confermando la sentenza del TAR Liguria ( vedi QUI). 

Le sentenze si rispettano nelle conseguenze giuridico amministrative del giudicato e questo come dire è ovvio in una democrazia.  Allo stesso tempo le sentenze si possono e si devono criticare nel merito delle motivazioni che stanno alla base del giudicato ed anche questo è ovvio in una democrazia.

Non so se, come è stato scritto e detto da qualcuno, la sentenza del Consiglio di Stato sia una sentenza politica, nel senso “suggerita dal potere politico amministrativo”. Non sono un dietrologo e neppure un complottista. Sono abituato ad argomentare nel merito le mie critiche senza nascondermi dietro a motivazioni di cui non posso fornire prova.

Se restiamo al merito delle motivazioni  posso invece dire che la sentenza del Consiglio di Stato su Piazza Verdi è CONTRADDITTORIA.

Mi direte contraddittoria rispetto a cosa?  Rispetto:
1. agli atti prodotti all’interno del contenzioso iniziato ormai dal 2013;
2. rispetto a alla ordinanza cautelare dello scorso luglio emanata dalla stessa sezione del Consiglio di Stato, e scritta dallo stesso relatore della sentenza di merito;
3. rispetto alla normativa e ai prevalenti indirizzi della dottrina sull’oggetto del contendere.

Di seguito spiegherò perché cercando di usare un linguaggio non troppo tecnico giuridico in modo da permettere a tutti di comprendere il mio ragionamento.
La sintesi del mio ragionamento è che era illegittima la autorizzazione del novembre 2012 ma non la ordinanza che ha sospeso il cantiere ma soprattutto che per motivare il contrario il Consiglio di Stato è caduto nelle contraddizioni sopra elencate.

Ma prima una premessa fondamentale per capire la mia tesi e soprattutto garantire una lettura  oggettiva della mia critica alla sentenza. ….



LE CONTRADDIZIONI DELLA SOPRINTENDENZA
Ma,  prima di affrontare le contraddizioni della sentenza,  andiamo a vedere i limiti del punto di vista  e del comportamento della istituzione che in questa vicenda si è contrapposta al Comune di Spezia: La Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici.  Solo affrontando questi limiti capiremo meglio poi la contraddittorietà delle motivazioni del Consiglio di Stato e soprattutto questo mi servirà alla fine per analizzare il punto di vista politico amministrativo ma anche se vogliamo democratico di questa vicenda: perché senza buona amministrazione la democrazia non può funzionare!

In epoca non sospetta,  e quindi ben prima di tutte le sentenze e ordinanze di TAR e Consiglio di Stato  e pure della ordinanza di sospensione del cantiere da parte della Soprintendenza, scrissi un post (era il 24 aprile 2013) così intitolato: “Progetto P.za Verdi: la Soprintendenza in confusione!” (vedi QUI).  In questo post rilevavo due limiti nella azione della Soprintendenza:
1. il primo non aver avviato di ufficio la procedura di verifica dell’interesse storico culturale della Piazza dopo che tale richiesta era stata fatta nella autorizzazione, della stessa Soprintendenza, del novembre 2012 al progetto di Piazza Verdi
2. il secondo di non aver valutato con una adeguata istruttoria il progetto prima della autorizzazione a partire dalla Carta italiana del Restauro (che è contenuta in un atto ministeriale quindi non è solo un documento culturale)

Questi due comportamenti furono confermati dalla stessa Soprintendenza in una lettera sempre dell’Aprile 2013, lettera ovviamente utilizzata anche dal Consiglio di Stato per condividere le tesi del Comune.

È indiscutibile che i due limiti della Soprintendenza sopra citati siano in contraddizione (sotto il profilo comportamentale il primo, sotto il profilo anche della legittimità il secondo, come vedremo in seguito) con la sospensione del cantiere decisa poi, successivamente nel giugno 2013, dallo stesso ente sia pure su invito della Direzione Regionale.  

Perché affermando,  ad Aprile del 2013, che non c’era bisogno della verifica dell’interesse culturale e non avendo valutato secondo gli indirizzi di legge e delle buone pratiche in materia in modo adeguato il progetto al momento della Autorizzazione del novembre 2012: la Soprintendenza ha prodotto una potenziale carenza o un difetto di motivazione o addirittura una motivazione contraddittoria nella ordinanza che portò alla sospensione del cantiere nel giugno 2013.

La suddetta contraddizione  comportamentale della Soprintendenza è stata quindi l’argomento principale su cui si è  fondata la decisione del Consiglio di Stato nella sentenza di ieri riprendendo quasi in automatico le tesi del TAR Liguria.

Di questa contraddizione il sottoscritto è stato sempre consapevole (e con lui gli avvocati delle associazioni appellanti al Consiglio di Stato ovviamente).
Così sono sempre stato consapevole del fatto che sarebbe stato meglio impugnare, da parte dei contestatori del progetto Buren Vannetti,  la autorizzazione del novembre 2012 proprio per le due motivazioni sopra esposte  che paradossalmente hanno prodotto poi il presunto (secondo TAR e Consiglio di Stato)  difetto di motivazione della ordinanza di sospensione del cantiere. Sulla illegittimità del comportamento della Soprintendenza nel rilascio della autorizzazione ho scritto un post  il 14 gennaio 2013 (vedi QUI). 

Quindi tutto bene aveva ragione il Comune? La domanda è mal posta, occorre un'altra domanda: L’iter istruttorio e gli atti della Soprintendenza che portarono alla autorizzazione del novembre 2012 erano legittimi?

A mio avviso no come ho ampiamente spiegato in tutti i miei post in questi due anni di vertenza.  E questo getta una luce sinistra su come vengono gestite le pratiche autorizzatorie in materia di Beni Culturali e Ambientali, ma su questo tornerò nella ultima parte di questo post quando parlerò di politica, di istituzioni, di modi di decidere e quindi di democrazia.
Ma se quegli atti erano illegittimi allora la Soprintendenza aveva, una volta resasi conto della illegittimità e della carenza istruttoria (collocazione storica del filare e mancanza della verifica interesse culturale), tutto il diritto in sede di autotutela rivedere la propria autorizzazione e quindi sospendere il cantiere.  

Quindi “dato a cesare quello che è di cesare” cioè le carenze e le contraddizioni della Soprintendenza è qui che si è giocata la partita legale della vicenda di Piazza Verdi. Vale a dire un comportamento illegittimo prima della Soprintendenza e poi un ravvedimento riconosciuto dalla legge,  ma che invece secondo il Consiglio di Stato la legge non riconosceva. In altri termini secondo il Consiglio di Stato la legge non dava quel potere di “ravvedimento”  (leggi autotutela) alla Soprintendenza.

Su questo punto nascono le, secondo me, clamorose contraddizioni della sentenza del Consiglio di Stato.  Vediamo perché…..



LE CONTRADDIZIONI DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
La tesi di fondo del Consiglio di Stato è che:
1. non solo la Soprintendenza ha avuto un comportamento contradditorio
2. ma addirittura ha violato la lettera e la ratio dell’articolo 28 del Codice dei Beni Culturali.  

Dimostrare la fondatezza della seconda tesi è fondamentale per poi arrivare alla decisione favorevole al Comune. Dimostrare il contrario fa crollare tutto l’impianto motivazionale del Consiglio di Stato. Vediamo perché….

Se fosse dimostrato solo il comportamento contraddittorio della Soprintendenza questo non inficerebbe la decisione presa a giugno 2013, perché una volta verificate le carenze istruttorie (i pini e non solo)  sotto il profilo della definizione dell’interesse culturale e confermato la non volontà del Comune di sanarle con l’avvio della verifica dell’interesse culturale era nel potere della Soprintendenza sospendere il cantiere, semmai il problema è che in quel momento avrebbe dovuto subito avviare di ufficio la verifica di tale interesse culturale e non richiederlo al Comune, ma questa, diciamo incongruenza procedurale,  non è stata curiosamente  rilevata dal Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato invece fonda la contestazione dell’atto di sospensione del cantiere da parte della Soprintendenza unicamente sul fatto che sarebbe in contrasto con l’articolo 28 del Codice dei Beni Culturali. Afferma il Consiglio di Stato nella sua sentenza: “la ratio dell’articolo 28 prevede la possibilità di adottare misure cautelari o preventive, ma la ratio della disposizione non può che essere relativa a lavori eseguiti senza autorizzazione o in difformità della stessa, non già in caso di lavori autorizzati presupponendo positivamente l’interesse culturale per la mancata verifica tesa, in ipotesi, a negare tale interesse.”

Non è così!
Non è cosi la lettera dell’articolo 28 e non è così la ratio (l’interpretazione) di questo articolo.

Infatti, come abbiamo sempre rilevato come team dei legali delle associazioni ambientaliste, il comma 2 dell’articolo 28 del Codice dei Beni recita: “Al Soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare la inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell’articolo 10, anche quando per esse non siano ancora intervenute la verifica di cui all’articolo 12 comma 2…”
Ora tra i beni ex articolo 10 citati nel sopra riportato comma 2 ci sono anche quelli vincolati ex lege come Piazza Verdi secondo il combinato disposto di detto articolo 10 con l’articolo 12 del Codice dei Beni Culturali. Ovviamente la verifica di cui all’articolo 12 citata nel suddetto comma 2 dell’articolo 28 è quella dell’interesse culturale.

Quindi dalla lettera della legge si ricavano due  elementi cogenti:
1. Anche per i beni vincolati ex lege può essere disposta con ordinanza la verifica di interesse culturale
2. La sospensione di interventi su beni culturali è possibile non solo quando manca la autorizzazione o è violata la autorizzazione ai lavori della Soprintendenza ma anche quando manca la verifica dell’interesse culturale.

Quanto alla ratio dell’articolo anche qui soccorre la migliore dottrina in materia: “’il comma 2 articolo 28  disciplina il potere del soprintendente di ordinare la inibizione o la sospensione degli interventi relativi a cose di presumibile interesse culturale per le quali non sia intervenuta la verifica di interesse culturale per i beni pubblici di cui all’articolo 10 comma 1” (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – ed. Giuffrè 2012 – a cura di A.M. Sandulli pag. 305).

Non solo ma sempre a proposito di ratio dell’articolo 28 è chiaro come anche nel caso di beni vincolati ex lege possa sorgere la necessità di disporre una verifica di ufficio non solo per dimostrare se il vincolo c’è ma anche per definirne i contenuti se non sono chiari. Afferma sempre il Codice dei Beni Culturali ed. Giuffrè pag.  142: “L’espletamento d’ufficio della verifica è  facoltà della autorità ministeriale che vi darà corso per lo più nei casi in cui stimi di potere pervenire ad un esito positivo circa la sussistenza dell’interesse culturale ma al contempo questo ultimo risulti dubbio o comunque opinabile”.

Infine si sostiene da parte del Comune che comunque la Soprintendenza anche se avesse questo potere di avviare d’ufficio la verifica dell’interesse culturale  ( e ce l’ha  ex lege come abbiamo visto sopra), non avendolo esercitato prima,  non poteva sospendere il cantiere nel giugno 2013.  A supporto di questa tesi il Consiglio di Stato cita la famosa lettera della Soprintendenza dell’aprile 2013 che ho riportato sopra. 
Anche qui la migliore dottrina smonta la tesi degli avvocati del Comune e del Consiglio di Stato, afferma infatti il Codice dei Beni Culturale ed. Giuffrè pagina 142: “la dottrina esclude che  l’espletamento di ufficio della verifica dell’interesse culturale  costituisca presupposto giuridicamente necessario per l’esercizio dei poteri di tutela da pare del Ministero dei Beni Culturali”. Quindi nel caso di Piazza Verdi la Soprintendenza poteva benissimo sospendere il cantiere per tutelare il bene culturale senza avere predisposto ancora la verifica di ufficio ma avendo solo chiesto al Comune di avviarla! 



LE CONTRADDIZIONI DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO CON LA SUA ORDINANZA
Ma il Consiglio di Stato nella sua sentenza non solo produce contraddizioni con la legge e la ratio che la interpreta come ho spiegato sopra, ma risulta in contraddizioni con un suo atto espresso sulla stessa vicenda e cioè la ordinanza cautelare dello scorso luglio con la quale veniva sospesa la efficacia della sentenza del TAR Liguria che aveva dato provvisoriamente ragione al  Comune.

La ordinanza del Consiglio di Stato   (per il testo vedi QUI)  non si limitava ad affermare la esistenza di un potenziale danno grave irreparabile se i lavori fossero continuati al centro della piazza,  ma affermava alcuni principi di merito riprendendo molte delle tesi che come ricorrenti abbiamo spesso affermato in questi mesi.

Gli avvocati del Comune, dopo la pubblicazione della Ordinanza del Consiglio di Stato, avevano affermato che non esisteva in questo provvedimento il fumus bonis  juris . Ma cosa ci sta dietro questa formula latina?

Nel procedimento cautelare  il provvedimento che decide sul rilasciare o meno la sospensiva della sentenza di primo grado può contenere  motivazioni, principi che possono o meno contenere questo fumus  bonis.  Nelle due interpretazioni con cui viene spiegato il significato di questa formula latina:
1. una è più rigorosa per cui si tratterebbe della probabilità di accoglimento del ricorso nella udienza di merito ( per capirci quella dell'8 gennaio che ha poi prodotto la attuale sentenza finale di merito)
2. l’altra meno restrittiva per il quale è sufficiente una delibazione sulla non infondatezza della impugnazione

Al di la delle prevalenti interpretazioni dottrinarie, che vi risparmio in questa sede, e che vedono prevalere il primo indirizzo, resta a livello di giurisprudenza del consiglio di stato  la tendenza a decidere i ricorsi in sede cautelare (le c.d. sospensive) avendo riguardo solo alla verifica del periculum in mora cioè del rilevare il potenziale danno grave e irreparabile per gli interessi difesi da chi chiede la sospensiva.

Ma nel caso della ordinanza su Piazza Verdi, del luglio 2014,  il collegio del Consiglio di Stato non  si  limitò ad affermare l’esistenza del periculum ma è entrato anche in questioni squisitamente di merito come quando ad esempio ha affermato che: “l’autonomia della verifica del relativo interesse storico e culturale rispetto alla vicenda autorizzatoria”.

Ora questa affermazione di principio risulta in palese contraddizione con la sentenza  di merito dove si afferma: “in presenza di una regolare autorizzazione non vi è spazio alcuno per le misure cautelari quali l’ordine di sospensione dei lavori”.   Ma l’ordine di sospensione dei lavori nasce come abbiamo visto proprio da una non adeguata verifica dell’interesse culturale che secondo l’ordinanza del Consiglio di Stato del luglio 2014 aveva una autonomia dalla autorizzazione e che ora invece nella sentenza di merito ha perso improvvisamente questa autonomia.  Autonomia che sussiste, sotto il profilo dei poteri riconosciuti alla Soprintendenza, come ho dimostrato in precedenza in questo post analizzando l’articolo 28 del Codice dei Beni Culturali.

Altra contraddizione della sentenza con l’ordinanza la troviamo con questo principio della ordinanza: “ i provvedimenti impugnati concernono l’intero assetto architettonico e culturale di Piazza Verdi, e non già il solo originario filare di pini, nelle more abbattuto;”.
Invece nella sentenza si afferma che “in modo del tutto contraddittorio nel decreto soprintendentizio che ha concluso la verifica di ufficio dell’interesse culturale:  il filare alberato dei pini rivestirebbe interesse culturale non già in considerazione della epoca reale della sua piantumazione da oltre 70 anni, ma solo se, eventualmente, elemento riconducibile all’originario impianto della piazza”.

Ma come a luglio il Consiglio di Stato dice che deve essere valutata l’intera piazza per analizzare la fondatezza degli atti della Soprintendenza e poi a febbraio (appena 6 mesi dopo) afferma che è contraddittorio che la Soprintendenza consideri il filare in rapporto alla intera piazza e non alla età dello stesso?

D’altronde che il Consiglio di Stato abbia le idee molto confuse (saranno state le feste natalizie?) si dimostra anche dalle contraddizioni contenute nella stessa sentenza di merito in due punti diversi.
In un punto della sentenza di merito il Consiglio di Stato, riprendendo le tesi del Comune e dei suoi periti e avvocati, si avventura in una valutazione di merito sulla definizione dell’interesse culturale della piazza,  per cui la relazione storica della soprintendenza allegata al decreto di  dichiarazione di interesse culturale: “non è idonea a sovvertire  il giudizio di estraneità dell’alberata al progetto originario della piazza”. Peccato che qualche riga sopra questa affermazione la stessa sentenza affermi che il ruolo storico dei filari dei pini in rapporto alla piazza è: “come noto di regola insindacabile e rimesso alla discrezionalità tecnica propria della amministrazione preposta alla tutela”, e chi sarebbe questa Amministrazione preposta? La Soprintendenza ovviamente,  ma guarda a volte dove portano le forzature motivazionali!



CONCLUDENDO GLI ASPETTI STRETTAMENTI GIURIDICO AMMINISTRATIVI
Appare chiaro che il Consiglio di Stato se voleva sostenere le tesi del Comune avrebbe dovuto usare argomenti ben più pregnanti giuridicamente parlando. Non è andata così e ne prendo atto. Di certo sentenze del genere non fanno bene al rispetto verso la giustizia da parte dei cittadini. Anzi viene da chiedersi perché, viste le nette argomentazioni a favore del Comune, il Consiglio abbia sospeso lo scorso luglio la sentenza del TAR Liguria. Come è noto i giudici nelle udienze cautelari guardano anche gli atti e pur non decidendo formalmente nel merito si fanno una idea sulla fondatezza delle tesi delle parti. L’ordinanza cautelare di luglio come ho già scritto andava in una direzione ben precisa che non era quella del Comune di Spezia, ma poi si è cambiata idea con motivazioni confuse e contraddittorie e allora, al di la delle questioni tecnico giuridiche, hanno ragione a dire molti: che tanto valeva che non sospendessero a luglio facendo perdere altri 8 mesi di lavori nella parte centrale della Piazza.



I RITARDI NELLA VICENDA DI PIAZZA DI VERDI SONO RESPONSABILITà DEL COMUNE. A MENO CHE NON SI VOGLIANO METTERE IN DISCUSSIONE DIRITTI COSTITUZIONALE DEI CITTADINI
Peraltro sui ritardi in questa vicenda c’è anche una grossa responsabilità del Comune. Infatti, comunque la si pensi su questa vicenda sia dal punto di vista giuridico che del progetto contestato, è agli atti che:
1. Se l’Amministrazione Comunale avesse avviato fin dalla autorizzazione della Soprintendenza (poi revocata) del novembre 2012, la procedura di verifica dell’interesse culturale, il Ministero e i suoi organi periferici regionali non avrebbero avuto argomento legali per sospendere il cantiere nel giugno 2013.
2. Se il Comune era sicuro della legittimità del suo operato avrebbe dovuto impugnare subito al TAR la sospensione del giugno 2013,  chiedendo subito la sospensiva ed evitando nelle more di aprire il cantiere. Sarebbero bastate poche settimane. 
3. Se la Direttrice delle Istituzioni Culturali non avesse sbagliato clamorosamente la data di piantumazione del filare dei pini, la Soprintendenza non avrebbe avuto molti argomenti per poter contestare il progetto e l’iter della sua elaborazione/approvazione e quindi non avrebbe potuto utilizzare questo come argomento fondante per la revoca della prima autorizzazione del novembre 2012. 

Questi sono tutti ritardi che erano evitabili. Non mi si venga a dire che erano evitabili anche i ritardi prodotti dai ricorsi delle associazioni ambientaliste. A parte il fatto che gli ambientalisti hanno usato l’arma del ricorso solo in Consiglio di Stato, la questione è ben altra.
I ritardi del Comune sono stati dovuti ad errori tecnico amministrativi di amministratori e politici. I “ritardi” degli ambientalisti non sono ritardi ma esercizio di diritti costituzionali.  Non a caso la Unione Europea ha approvato da tempo una Direttiva che riconosce e promuove proprio il diritto all’accesso alla giustizia per tutelare ambiente,  salute, territorio  e paesaggio ……… o vogliamo arrivare al punto di eliminare il diritto dei cittadini di ricorrere alle vie legali per tutelare ambiente e salute? È questo che volete signori Amministratori? È questo che vuole il Sindaco di Spezia?

Quindi a tutti ( e sottolineo tutti: politici, avvocati, tecnici, burocrati, giornalisti, cittadini e liberi pensatori) coloro che nei prossimi giorni tireranno fuori la questione dei ritardi prodotti dai ricorsi non dimentichino cosa c’è scritto nella Convenzione sottoscritta dalla UE sulla informazione, partecipazione  e accesso alla giustizia da parte del pubblico: “le procedure che disciplinano i ricorsi giurisdizionali nazionali contro le decisioni in materia ambientale …. devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive eque e rapide e  non eccessivamente onerose”. paragrafo 4 articolo 9 Convenzione di Aarhus.



LA POLITICA, LE ISTITUZIONI, LA DEMOCRAZIA
Ma comunque la si pensi  questa vicenda ha per l’ennesima volta dimostrato come nel nostro territorio le istruttorie che portano alle decisioni pubbliche sono svolte  in modo confuso, superficiale e spesso contra legem. Questo aspetto viene completamente sottovalutato da tutti. Io da anni sostengo che invece andrebbe affrontato con rigore a partire dalla formazione e dalla cultura della burocrazia pubblica, dal  ruolo di indirizzo dei politici, dal ruolo dei cittadini attivi.
D’altronde a questa classe politica il modo in cui si decide non interessa minimamente eppure sta li uno dei vulnus principale alla democrazia rappresentativa almeno  per chi ha ancora a cuore la democrazia!  Ma non certo per la cultura paramafiosa che alberga nel nostro territorio, vedi QUI











  

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