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domenica 29 gennaio 2012

Elezioni amministrative: Per una nuova democrazia rappresentativa nella nostra città e…… non solo.









"Una democrazia che non decide è una democrazia svuotata"……… non direi, semmai una democrazia che non rappresenta è una finta democrazia. 














LA CONCEZIONE DEVIATA DI DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA DELLA CLASSE POLITICA LOCALE E NAZIONALE
In questo periodo che ci avvicina alla prossime elezioni amministrative chi governa il nostro territorio ha espresso in varie circostanze legate a conflitti sull’uso del territorio (centrale enel, waterfront ad esempio),  una concezione della democrazia rappresentativa che si può così riassumere: “io decido perché sono stato eletto dal popolo, chi mi contesta è quindi automaticamente una minoranza e comunque la partecipazione non può bloccare le scelte strategiche decise da chi ha avuto il mandato del popolo

LA CONCEZIONE DEVIATA DI DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA NON RISPONDE ALLA REALTÀ DEI FATTI
In questa concezione, più volte ribadita dai nostri amministratori locali e non, ci sono intanto delle rimozioni fattuali:
1. chi è eletto ormai è eletto da una minoranza di cittadini (ad esempio Federici da non oltre il 35-40% degli aventi diritto al voto)
2. i programmi su cui viene eletto un sindaco sono quasi sempre talmente generici che costituisco cambiali in bianco firmate dall’elettorato che poi una volta eletto il Sindaco può stravolgere come meglio crede ( si veda il programma elettorale di Federici che su centrale Enel, area IP, attuazione del PRP ha fatto esattamente il contrario dei generici principi che aveva affermato in campagna elettorale)
3. oggi le decisioni, soprattutto in una amministrazione locale sono prese attraverso istruttorie tecniche decise dai pochi dirigenti che non rispondono delle loro scelte ne all’elettorato ne, come avviene quasi sempre a Spezia, alla stessa debole e incompetente classe politica.

LA CONCEZIONE DEVIATA DI DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA NON PRODUCE NEPPURE DECISIONI EFFICIENTI
Come dimostra l’esperienza del Comune della Spezia questa concezione deviata di democrazia rappresentativa ha prodotto in realtà molte non scelte amministrative, infatti le ultime amministrazioni succedutesi dagli anni 90: 
1. non hanno tutt’ora chiuso il ciclo dei rifiuti,
2.  hanno distrutto una azienda come l’Acam che nelle sue fasi iniziali era un gioiello di efficienza
3.  hanno messo quasi dieci anni per approvare (non attuare) il Piano regolatore del Porto,
4.  hanno messo oltre 30 anni per cominciare a realizzare gli interventi nell’area ex IP senza peraltro bonificarla completamente,
5.  hanno distrutto le colline di Pitelli producendo una situazione di ingestibilità permanente per qualsiasi futuro impianto per i rifiuti,
6.  non hanno ancora finito, completamente dopo oltre 20 anni la pedecollinare anche qui rinviata per errori progettuali ben rilevabili sin dall’inizio na non rilevati da dirigenti che tutt'ora occupano posti di responsabilità nelle amministrazioni locali e quelli sopra elencati sono solo esempi ma potrei continuare.
Tutto questo nonostante maggioranze bulgare nelle istituzioni, un controllo capillare e clientelare della società civile spezzina in tutte le sue articolazioni politiche, sociali , culturali e soprattutto economiche. 

LE RADICI CULTURALI DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA DEVIATA
Sulle radici sostanziali della deviazione della democrazia rappresentativa ho già avuto modo di analizzare qui  . 
Ma se vogliamo allargare un poco il tiro del nostro ragionamento allora possiamo dire che quanto succede a Spezia è emblematico: 
1. della crisi della qualità della politica
2. della crisi della reversibilità della rappresentanza politica

Questi due indicatori della crisi della democrazia rappresentativa  si tengono insieme perché è proprio la inamovibilità dei rappresentanti o comunque la mancanza di una selezione democratica e trasparente degli stessi, che ne ha progressivamente ridotto la qualità. Tutto ciò è reso ancor più drammatico dall’accentuarsi della complessità delle problematiche di governo nei tempi attuali dettate principalmente dalla frammentazione della nostra società ed ora dalla grave crisi economica nazionale e internazionale.

Il nodo fondamentale per rispondere ai due poli della crisi della democrazia rappresentativa sopra indicati, è nella modifica del processo decisionale
Solo rendendo tale processo trasparente, valutabile in tutte le sue fasi e quindi non irreversibile si potrà migliorare la qualità della rappresentanza, e solo  migliorando la trasparenza del processo e la qualità della rappresentanza si potrà migliorare la qualità della decisione. 
Esattamente il contrario di questo sciocco decisionismo che imperversa da tempo e che è frutto solo della rimozione dei conflitti che emergono oggettivamente dalla società prodotti da un potere sempre più succube di un capitale finanziario di rapina al quale la politica attuale non sa altro che rispondere chiudendosi nei fortini del maggioritario  e delle elezioni dirette degli esecutivi, per altro sempre più esecutori passivi di scelte decisi fuori dai meccanismi istituzionale tradizionali.

Solo coinvolgendo i cittadini rappresentati, dandogli fiducia e mezzi per decidere in libertà con le dovute informazioni oggettive e trasparenti, si può uscire dalla crisi della politica.
Solo migliorando i rappresentati si migliorano i rappresentanti, perché si rompe la spirale perversa per cui cattivi gestori delle decisioni producono cittadini confliggenti sempre peggiori e sempre meno disponibili al dialogo.
Solo migliorando  e rendendo parte attiva i rappresentati, i rappresentanti possono diventare i gestori di un interesse generale espressione diretta dei bisogni materiali e prioritari che emergono da una società consapevole e parte attiva dei proprio diritti.

LA NUOVA CULTURA DELLA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA EMERGE DA UN BISOGNO PRESENTE NELLA NUOVA ESPRESSIONE DELLA CITTADINANZA
Oggi, e sempre di più sarà nel prossimo futuro, i cittadini non vogliono delegare passivamente, le scelte che li riguardano, alla classe politica, proprio per la consapevolezza diffusa che un ceto politico chiuso nel castello del potere non ha più senso perché quel potere è diventato ostaggio di un potere finanziario che lo rende sempre più succube.  
Se qualcosa di buono c’è nella, per altri versi confusa, teoria della moltitudine di Negri ed Hardt , è nella intuizione secondo cui ognuno di noi rappresentati si faccia rappresentante delle sue qualità, delle sue consapevolezze, della innovatività dei percorsi professionali e di vita e getti tutto ciò dentro il percorso di confronto/modifica della rappresentanza e del governo.

I nuovi cittadini quindi vogliono un ceto dirigente all’altezza della complessità della crisi del potere pubblico  come dimostra una indagine, poco letta e studiata purtroppo, della Università Luiss ( “Generare classe dirigente” Luiss University Press-Il Sole 24 ore 2007, aggiornata nel 2009); da questa indagine emerge che i cittadini italiani, a grande maggioranza, esigono che le classi dirigenti abbiano prima di tutto visione strategica (oltre che competenza e senso di responsabilità e di legalità nella gestione della cosa pubblica). Visione strategica che deve mettere insieme i bisogni della moltitudine sopra descritta, traducendoli in una idea e progetto di società. Ma la visione strategica non può nascere nella testa di un Sindaco o tre dirigenti e qualche imprenditore che vuole investire per fare i suoi interessi, ma nasce prima di tutto da un confronto continuo con la società che il potere rappresenta, attraverso un continuo scambio di opinioni, analisi, proposte, decisioni, monitoraggio delle decisioni, modifica delle decisioni secondo questo monitoraggio. 




NON E' PIÙ TEMPO DI DELEGHE IN BIANCO, È TEMPO DI AZIONE DIRETTA ESPRESSIONE DI ESPERIENZE CONCRETE E VITALI.
Contro i nuovi autocrati populisti eletti dal popolo o i finti tecnocrati che governano ora l'Italia per conto dell'Europa finanziaria, penso sia arrivato il tempo di mettere in pratica quello che un filosofo e politico affermava quasi 500 anni fa:
“ Non voglio che scacciate il tiranno e lo buttiate giù dal trono; basta che non lo sosteniate più e lo vedrete crollare a terra per il peso e andare in frantumi come un colosso a cui sia stato tolto il basamento." (La Boétie - Discorso sullaServitù Volontaria 1548-1552).” 


Il tutto per non cadere nella tentazione oggi di moda ben descritta in questo scritto di un epoca passata ma che con altre spoglie rischia di tornare se non che sia già in atto: “
Il fatto che il presidente del Reich sia il custode della costituzione, corrisponde però anche da solo al principio democratico, su cui si basa la costituzione di Weimar. Il presidente del Reich è eletto da tutto il popolo tedesco, e i suoi poteri politici nei confronti delle istanze legislative (specialmente lo scioglimento del Reichstag e l’indizione di un referendum) sono in effetti soltanto un appello al popolo. Facendo del presidente del Reich il punto centrale di un sistema plebiscitario come anche di funzioni ed istituzioni partiticamente neutrali, la costituzione vigente del Reich cerca di ricavare proprio dal principio democratico un contrappeso al pluralismo dei gruppi di potere sociale economico e di difendere la unità del popolo come totalità politica”.
(Carl Schmitt “Il custode della Costituzione” 1931) 






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