domenica 19 febbraio 2017

Consiglio di Stato sentenza anti ecomafie da un caso spezzino

Con sentenza del Consiglio di Stato n. 565 dello scorso 9 febbraio (vedi QUI) è stata riformata la sentenza del TAR Emilia Romagna n. 123 del 2016 con la quale era stata annullata la l’informativa antimafia del 21 gennaio 2015 e gli atti consequenziali o presupposti di una ditta di frantumazione e lavorazioni inerti presente da anni nel Comune di Vezzano Ligure. Sulla base di quella sentenza del TAR era quindi stata dichiarata illegittima anche la decisione della Provincia della Spezia di non rilasciare Autorizzazione Unica Ambientale (di seguito AUA) a questo impianto.



L’INTERPRETAZIONE GENERALE DELLA NORMATIVA ANTIMAFIA  NELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

La sentenza del TAR 123 del 2016  in sintesi, nell’accogliere il ricorso della ditta di lavorazione inerti, aveva ritenuto che la Prefettura di Reggio Emilia non potesse emettere, nei confronti di essa, l’informativa antimafia, in base alla disciplina di cui al d. lgs. n. 159 del 2011, perché l’autorizzazione da essa richiesta: “è funzionale all’esercizio di una attività imprenditoriale privata estranea alle ipotesi espressamente previste dalla illustrata normativa non comportando alcun rapporto con la Pubblica Amministrazione: (p. 6 della sentenza del TAR impugnata).
In sostanze secondo il TAR un conto sono i rapporti contrattuali, appalti, concessioni altra cosa sono le autorizzazioni. Infatti secondo la interpretazione del TAR l’obbligo della certificazione antimafia non è esistente per le Autorizzazione a rilevanza ambientale come l’AUA strumentale all’esercizio di una attività privata.


Il Consiglio di Stato con la sentenza in esame afferma che la normativa in materia (la legge delega 136/2010 e il successivo DLgs 159/2011 codice leggi antimafia) mira al superamento della rigida bipartizione tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni.
Il Consiglio di Stato cita in particolare la lettera c) comma 1 articolo 2 della legge delega secondo la quale si prevede: “c) istituzione di una banca di dati nazionale unica della documentazione antimafia, con immediata efficacia delle informative antimafia negative su tutto il territorio nazionale e con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione, finalizzata all'accelerazione delle procedure di rilascio della medesima documentazione e al potenziamento dell'attività di prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività d'impresa, con previsione della possibilità di integrare la banca di dati medesima con dati provenienti dall'estero e secondo modalità di acquisizione da stabilirsi, nonché della possibilità per il procuratore nazionale antimafia di accedere in ogni tempo alla banca di dati medesima”.
Banca dati nazionale poi disciplinata dal capo V del DLgs 159/2011 e che proprio perché fa riferimento alla unificazione della documentazione antimafia chiaramente tende a non distinguere più le autorizzazioni dalle concessioni e dai contratti. La Banca Dati nazionale è stata resa operativa dal d.P.C.M. n. 193 del 2014 (vedi QUI). Inoltre il Consiglio di Stato a sostegno della sua decisione cita anche:
- il primo comma dell’articolo 83 del Dlgs 159/2011 secondo il quale: “1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici….. devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'articolo 84 prima …..di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67. “
- il primo comma dell’articolo 91 del DLgs 159/2011 laddove prevede che detti soggetti devono acquisire l’informativa prima di rilasciare o consentire anche i provvedimenti indicati nell’art. 67;
L’articolo 67 del DLgs 159/2011 fa esplicito riferimento tra gli atti non rilasciabili senza documentazione antimafia  anche ad:  “f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati


IL PROVVEDIMENTO DI INTERDITTIVA ANTIMAFIA DEL PREFETTO COME INTERPRETATO DAL CONSIGLIO DI STATO
L’articolo 89-bis del DLgs 159/2011, introdotto dal Dlgs 153/2014, ha introdotto uno strumento integrativo nella lotta alle mafie e alle infiltrazioni mafiose, prevedendo che: “1. Quando in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, comma 2 (nota [1]), venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne da' comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2(nota [2]), senza emettere la comunicazione antimafia. 2. L'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta.

Quindi il Prefetto utilizzando la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia così come sopra intesa e disciplinata può emettere interdittiva antimafia con ricadute anche sui procedimenti autorizzatori e non solo sui rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione.
Si veda Consiglio di Stato sez. I, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015 (vedi QUI)  secondo il quale: “le perplessità di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni – con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in ipotesi di attività soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche”.



LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA NORMATIVA SOPRA DESCRITTA SECONDO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Di grande rilievo è la parte finale (Nota[3]) della sentenza del Consiglio di Stato in oggetto perché conferma la costituzionalità della legislazione antimafia sopra descritta con una motivazione di grande rilievo sotto il profilo degli stessi principi costituzionale come pure di quelli di una società non fondata sulla sopraffazione dei diritti dei cittadini e sulla contraffazione del libero mercato con  gravi danni alla collettività e alla immagine del nostro Paese.



IL CONSIGLIO DI STATO SUL CASO SPECIFICO DELL’IMPIANTO INERTI NEL COMUNE DI VEZZANO LIGURE
Di rilievo e come logica conseguenza delle motivazioni sopra esposte sono anche le conclusioni della sentenza del Consiglio di Stato sul caso specifico della richiesta della ditta in questione che affermava (in via incidentale) come sia per il valore che per il tipo di attività svolta nel Comune di Vezzano Ligure, in relazione alla quale è stata richiesta l’AUA, non doveva essere richiesta l’informazione antimafia.
Il Consiglio di Stato conferma invece tale obbligo e ribadisce come per la ditta in questione: “L’informativa prot. n. 2225/14/Area I – Comunicazione del 21 gennaio 2015 qui impugnata, oltre ad evidenziare che l’impresa risulta gravata da provvedimento n. 1844/13 avente natura interdittiva antimafia di diniego di iscrizione nella c.d. white list, si fonda sulla considerazione che -OMISSIS-, titolare della impresa, è coniugata con -OMISSIS-, gravato da precedenti penali per violazioni in materia della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nonché da rapporti di famiglia o contiguità con esponenti della malavita di stampo mafioso.”

Non solo ma, come rilevavamo nell’esposto predisposto per i cittadini residenti nella zona nella estate del 2016, il tentativo di trasferire la rappresentanza legale della ditta alla moglie del titolare risultava un tentativo di aggiramento della normativa antimafia. Ciò viene confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato secondo cui: “Né il rapporto di coniugio – al di là della circostanza, irrilevante, che i coniugi, residenti in Comuni diversi, avrebbero avviato le pratiche per separarsi (p. 24 dell’appello incidentale) – né l’esistenza di tali rapporti tra -OMISSIS- (e la sua famiglia) e la criminalità ‘ndranghetista, quali peraltro emergono, e in modo molto consistente, dal già menzionato provvedimento di diniego di iscrizione nella white list, sono stati efficacemente smentiti, nella loro indubbia oggettiva e pregnante rilevanza sintomatica, dall’odierna appellante incidentale, che si è limitata a censure generiche e, comunque, ininfluenti ai fini del decidere.”  



LA QUESTIONE AMBIENTALE E SANITARIA DELL’IMPIANTO DI LAVORAZIONE INERTI OGGETTO DELLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO
Ma l’esposto sopra ricordato firmato dai cittadini residenti solleva una questione di diritto ambientale e di tutela della salute. La questione era che questo impianto (soprattutto quello di lavorazione materiali lapidei) ha prodotto in questi anni reiterate situazioni di inquinamento violando ripetutamente le poche prescrizioni autorizzatorie come ho spiegato ampiamente nel mio blog.  Non solo ma il protrarsi del contenzioso sulla interdittiva antimafia ha comportato la mancata applicazione di quelle poche prescrizioni migliorative prevista dalle conclusioni della Conferenza dei Servizi del 8/10/2014 finalizzata a rilasciare l’AUA.
In particolare dal Verbale di quella Conferenza dei Servizi si evince che la Provincia della Spezia richiede (Nota del 8/10/2014 n.46985) la dimostrazione del rispetto delle sopra elencate prescrizioni: “si informa che la voltura della autorizzazione alle emissioni in atmosfera in capo alla nuova denominazione sociale della ditta in questione  sarà rilasciata solo a seguito dell’acquisizione della certificazione analitica delle emissioni in atmosfera previsto al punto 1”. Ora  il punto 1 è quello della Diffida della Provincia sopra citata con l’elenco delle prescrizioni da rispettare sopra riportato.
Peccato che queste prescrizioni secondo la detta Diffida avrebbero dovuto essere rispettate entro il settembre 2014. Quindi la Provincia della Spezia ammette formalmente nella sua Nota, e nessuna la contesta come risulta dal verbale della Conferenza dei Servizi, che la ditta in questione aveva da oltre un mese violato anche la Diffida della Provincia!
Ma c’è di più perché queste prescrizioni, che vengono richiamata in sede di Conferenza dei Servizi, sono in vigore dal 2009 (Determina Dirigenziale del 27/4/2009 n. 56) e poi riconfermate nel 2011 (determina dirigenziale n. 106 del 7/6/2011 vedi ALLEGATO n.3)  e sono state ripetutamente violate quindi anche precedentemente alla stessa diffida della Provincia più volte citata in precedenza.
Questo nonostante che la stessa Provincia  della Provincia che per motivare la nuova autorizzazione del 2011 così affermava: “le modifiche derivano dalla esigenza di migliorare le condizioni di polverosità originate dal ciclo lavorativo..”.
Non solo ma l’impianto in oggetto nonostante le reiterate (e ad oggi continuate come vedremo a breve) violazione delle prescrizioni autorizzatorie  non ha mai avuto una adeguata valutazione dell’impatto sanitario prodotto dalle continuate emissioni polverose e rumorose. 



CONCLUSIONI
L’ottima sentenza del Consiglio di Stato sotto il profilo della applicabilità della normativa antimafia anche alle autorizzazioni ambientali, speriamo produca la soluzione anche dell’impatto ambientale di un impianto che non avrebbe mai dovuto essere collocato in stretta vicinanza con abitazioni civili e che comunque, antimafia o meno o forse proprio per questo, avrebbe meritato in questi anni una maggiora attenzione da parte delle Pubbliche Amministrazione competenti in materia di autorizzazioni e controlli ambientali. 






NOTE 
[1]2. Quando dalla consultazione della banca dati emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, il prefetto effettua le necessarie verifiche e accerta la corrispondenza dei motivi ostativi emersi dalla consultazione della banca dati nazionale unica alla situazione aggiornata del soggetto sottoposto agli accertamenti.”
[2] 1. Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di opere pubbliche, devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'articolo 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67. 2. La disposizione di cui al comma 1 si applica ai contraenti generali di cui all'articolo 176 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, di seguito denominati «contraente generale”.

[3] Afferma il Consiglio di Stato: “  Deve questo Collegio solo qui aggiungere, per completezza, che non ritiene che la nuova disciplina contrasti con gli artt. 3, 24, 27, comma secondo, 41 e 42 Cost.
10.1. Lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, e non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati, infiltrati ed eterodiretti dalle associazioni mafiose.
10.2. Questa valutazione, che ha natura preventiva e non sanzionatoria ed è, dunque, avulsa da qualsivoglia logica penale o lato sensu punitiva (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2013, n. 1743), costituisce un severo limite all’iniziativa economica privata, che tuttavia è giustificato dalla considerazione che il metodo mafioso, per sua stessa ragion di essere, costituisce un «danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» (art. 41, comma secondo, Cost.), già sul piano dei rapporti tra privati (prima ancora che in quello con le pubbliche amministrazioni), oltre a porsi in contrasto, ovviamente, con l’utilità sociale, limite, quest’ultimo, allo stesso esercizio della proprietà privata.
10.3. Il metodo mafioso è e resta tale, per un essenziale principio di eguaglianza sostanziale prima ancora che di logica giuridica, non solo nelle contrattazioni con la pubblica amministrazione, ma anche tra privati, nello svolgimento della libera iniziativa economica.
10.4. Non si può ignorare, e la legislazione antimafia più recente non ha di certo ignorato, che tra economia pubblica ed economia privata sussista un intreccio tanto profondo, anche nell’attuale contesto di una economia globalizzata, che non è pensabile e possibile contrastare l’infiltrazione della mafia “imprenditrice” e i suoi interessi nell’una senza colpire anche gli altri e che tale distinzione, se poteva avere una giustificazione nella società meno complessa di cui la precedente legislazione antimafia era specchio, viene oggi a perdere ogni valore, ed efficacia deterrente, per entità economiche che, sostenute da ingenti risorse finanziarie di illecita origine ed agevolate, rispetto ad altri operatori, da modalità criminose ed omertose, entrino nel mercato con una aggressività tale da eliminare ogni concorrenza e, infine, da monopolizzarlo.
10.5. La tutela della trasparenza e della concorrenza, nel libero esercizio di una attività imprenditoriale rispettosa della sicurezza e della dignità umana, è un valore che deve essere preservato nell’economia sia pubblica che privata.”


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