martedì 8 marzo 2016

Portualità e logistica: la crisi rimossa del gigantismo navale

In  un post del 28 Maggio 2015 (vedi QUI) dove criticavo il programma elettorale sulla portualità della candidata del PD alla Presidenza della Regione Liguria in relazione alla affermazione per cui: : “Il porto del futuro dovrà poter ospitare grandi navi fino a 20.000 teu.”, mi ponevo questa domanda:  Qualcuno nello staff della candidata si è letto gli ultimi dati sugli effetti del gigantismo navale nei porti americani e del nord europa?

La grande capacità delle singole navi e le concentrazioni tra grandi gruppi che controllano parti di mercato sempre più ampie  stanno producendo un mix esplosivo per i porti. Gli scali per adeguarsi dovrebbero investire in infrastrutture  per velocizzare lo scarico delle merci. Nei soli Usa si parla di 30 miliardi di dollari di investimenti. Non a caso, lo scorso 18 giugno 2015, la  Federal Maritime Commission (FMC), l'agenzia federale statunitense incaricata di regolare il settore del trasporto marittimo internazionale degli USA, ha incontrato  le agenzie consorelle della UE e della Cina per affrontare questo tema. La questione si lega al fenomeno sempre più diffuso della finanziarizzazione del settore marittimo, per cui i traffici languono a livello globale (noli bassi) ma aumentano gli ordini per navi sempre più grandi con il rischio che i costi di tutti ciò a breve siano scaricati sui dipendenti dei terminalisti (bolle speculative) e sui territori (superterminal che possono diventare semivuoti  a breve termine).

Non solo ma, sempre  in relazione ai noli bassi secondo uno studio di Boston Consulting Group i noli resteranno bassi fino al 2019. Secondo BCG, proprio a causa dell'eccesso di offerta di trasporto marittimo, le tariffe nei prossimi anni potrebbero diminuire ancora e la situazione peggiorerà se saranno introdotte sul mercato tutte le nuove navi già previste. Gli esperti analisti della società di consulenza internazionale sottolineano che la competizione crescente e i prezzi degli slot a bordo relativamente bassi, inducono i vettori ad acquistare navi sempre più capienti, che poi non riescono a riempire. Un vero e proprio circolo vizioso, dove la soluzione più immediata sembra quella della diminuzione delle tariffe, a fronte però di risultati sempre peggiori. 

Ora un Rapporto, appena uscito, di Drewry Maritime Research  (vedi il sito QUIemblematicamente intitolato "Diminishing returns? (rendimenti decrescenti)  afferma senza mezzi termini che gli investimenti nei porti rendono sempre meno.
L’imputato principale è il gigantismo navale che comporta una gestione dei servizi portuali sempre più caratterizzata da meno toccate con improvvisi picchi di movimentazione, in altri termini maggiori investimenti per far arrivare le mega navi in presenza di una domanda che resta uguale o quasi.

D’altronde già nel 2011 il Rapporto della società di ricerca Alphaliner (si veda qui) rilevava che il tasso di crescita del traffico container tra Far East ed Europa scenderà nel 2012 all'1,5%, contro il 2,8% rilevato lo scorso anno. La causa della flessione è l'indebolimento del quadro economico europeo.  

Ma ancora prima nel 2010 Sergio Bologna nel libro più interessante sulla logistica marittima scritto in questi anni (Le multinazionali del mare ed. Egea 2010) diffidava dal luccichio del numero di container movimentati e precisava: “le statistiche portuali e l’uso che i porti fanno per ragioni di marketing vanno letti con molta prudenza, in particolare per quanto riguarda i container, la cui domanda di trasporto è trainata da due componenti: il mercato dei beni e la logistica delle compagnie marittime. Lo stesso container viene contato più volte e quindi il valore dei movimenti di sbarco e imbarco che subisce nei porti, tenuto conto dei vuoti, ha una correlazione sempre più debole con il valore rappresentato dal volume delle merci trasportate.” 
Poi nel 2013 sempre Sergio Bologna con il suo nuovo libro “Banche e crisi” concludeva sul gigantismo navale criticando le scelte del PRP di Genova: “dove sta il vantaggio della grande nave portacontainer nella catena della logistica? È più veloce? Abbiamo visto che è più lenta. Costa di meno? Manco per sogno. È più flessibile? Il contrario. I suoi vantaggi finiscono nel momento in cui tocca terra”.

Eppure ci sarebbero le metodologie di valutazione per sviluppare una migliore governance dei porti e della loro evoluzione.
Come affermato dalle esperienze degli Studi di Impatto Portuale , assistiamo da tempo ad  un progressivo indebolimento del rapporto tra i porti ed il sistema economico e territoriale locale di riferimento. Gli esperti parlano di  localizzazione indifferente, fenomeno i cui caratteri di fondo si possono così riassumere :
1. molte attività legate al ciclo del trasporto non sono più vincolate , nell’era dei trasporti intermodali , alla localizzazione portuale
2. la movimentazione dei carichi fra la nave ed il trasporto terrestre ed il relativo crescente livello di automazione riducono fortemente l’impiego del lavoro ed aumentano quello di capitale
3. l’impatto occupazionale dipende sempre meno dalla componente relativa all’ammontare di traffico che passa per il porto
4.  un capitale che  può non essere localizzato nella regione portuale  per la progressiva concentrazione in pochi grandi gruppi internazionali dei principali terminal portuali  escludendo così il sistema economico locale del porto da buona parte dei benefici economici. Il rischio molto reale è che il PRP arricchisca alla Spezia solo i terminalisti privati per i quali è quasi indifferente che un container sia pieno o vuoto: il business si realizza sulle tariffe di sbarco/imbarco e movimentazione.



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